Un passaggio storico. Il ministro Lorenzin ha definito così il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 marzo scorso che stabilisce i nuovi Livelli Essenziali d’Assistenza (Lea). Ebbene, nel passaggio storico, che in effetti esce a 15 anni dall’ultimo aggiornamento (che risale al 2001), tra le prestazioni ad elevato contenuto tecnologico c’è l’adroterapia contro il cancro: fino a oggi erogata all’interno del Sistema Sanitario Regionale della Lombardia e dell’Emilia Romagna e ora a disposizione dei pazienti di tutto il territorio nazionale.
Cos’è l’adroterapia. L’adroterapia è una forma di radioterapia avanzata che al posto dei classici raggi X (che sono fotoni), utilizza ioni carbonio e protoni emessi da un acceleratore di particelle, il sincrotrone, una macchina costruita grazie anche al contributo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) sul disegno dell’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra, per dare un’idea del livello di tecnologia. Il nome adroterapia deriva dal fatto che gli ioni carbonio e protoni sono adroni, cioè particelle subatomiche pesanti (per chi mastica un po’ di fisica gli adroni sono formati da almeno tre quark; per chi ricorda il greco, adron sta per forte, pesante).
Un’avanguardia per 4.500 pazienti l’anno. “L’inserimento dell’adroterapia nei nuovi Lea è un risultato importante, perché mette a disposizione di tutti i cittadini una terapia avanzata su cui l’Italia è all’avanguardia a livello mondiale”, ha dichiarato Erminio Borloni, presidente della Fondazione CNAO, Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica – uno dei sei centri al mondo e dei due in Europa in grado di effettuare trattamenti sia con protoni che con ioni carbonio – all’indomani dell’uscita in gazzetta del DPCM sui Lea: “Stimiamo che nel nostro Paese ci siano almeno 4.500 pazienti oncologici ogni anno che necessitano dell’adroterapia come migliore risposta terapeutica alla loro malattia”.
Non è un’alternativa. L’adroterapia non è una alternativa alla radioterapia. E non la sostituirà, ma, stando ai nuovi Lea, andrà a coprire una fascia di pazienti con tumori resistenti alle radiazioni tradizionali oppure inoperabili perché difficili da raggiungere o circondati da organi o tessuti delicati. Dieci sono le famiglie tumorali trattabili con l’adroterapia che ha individuato il DPCM, e vanno da alcuni cordomi e condrosarcomi della base del cranio, ai melanomi oculari, a recidive già sottoposte a radioterapia.
Il doppio vantaggio dell’adroterapia: più selettiva e più efficace. “Il vantaggio delle particelle pesanti rispetto ai raggi X è doppio. Primo, gli adroni sono selettivi: mentre i raggi X, attraversando il corpo da parte a parte, rilasciano energia lungo tutto il percorso, gli adroni per loro stessa natura sono balisticamente più precisi e rilasciano la dose proprio sul bersaglio, il cancro. Di conseguenza, danneggiano meno i tessuti sani, e questo è fondamentale per alcune sedi critiche come la base del cranio, gli occhi, per i tumori pediatrici“, spiega Roberto Orecchia, docente di Radioterapia oncologica alla Statale di Milano, direttore scientifico dello Ieo – Istituto europeo di oncologia e del CNAO di Pavia. “Il secondo vantaggio, che riguarda però soltanto gli ioni carbonio e non i protoni – specifica Orecchia – è che questa particelle hanno maggiore efficacia biologica, sono più potenti nel distruggere le cellule tumorali: il danno sul Dna provocato dagli ioni carbonio è tre volte superiore a quello della terapia classica. Gli ioni carbonio sono indicati per tumori radioresistenti, per esempio forme con scarso contenuto di ossigeno, sarcomi, tumori delle ghiandole salivari, glioblastomi, adenocarcinomi del pancreas. Noi, al CNAO, abbiamo trattato con adroterapia più di 1.200 casi, due terzi dei quali con ioni carbonio, un terzo con i protoni. Nel mondo sono stati trattati oltre 120mila pazienti con i protoni, con ioni carbonio molti meno”.
I test sui tumori avanzati e le nuove prospettive dell’adroterapia. “È in sperimentazione l’adroterapia con protoni sul tumore avanzato del polmone, che sta dando risultati interessanti”, riprende Orecchia. “Ci sono esperienze in Giappone con ioni carbonio sul retto e sul pancreas, che stanno dando risultati di sopravvivenza doppi rispetto ai protocolli standard chemio-radioterapici”. Ma si stanno pendendo in considerazione particelle pesanti ancora mai utilizzate in clinica? “Lo ione elio”, risponde Orecchia”: “L’elio avrebbe un’efficacia intermedia, tra quella dei protoni e quella degli ioni carbonio. Lo stiamo sperimentando, come stanno facendo in Germania e in Giappone, e potrebbe essere una prospettiva per i tumori pediatrici, per i quali lo ione carbonio non si utilizza perché troppo pericoloso per i bambini. O per i tumori dell’occhio: anche per queste forme, infatti, il carbonio non viene usato”.
Non è per tutti i tumori, i costi sono ancora elevati. “L’adroterapia è comunque una radioterapia, sebbene non utilizzi fotoni ma protoni e carbonioni, e non va interpretata come una tecnica che soppianterà la radioterapia tradizionale. La sua applicazione dipende – e ancora dipenderà per molto tempo – dai singoli casi, che il radiologo saprà selezionare”, dice Elvio Russi, direttore della Struttura complessa di Radioterapia, Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo e presidente dell’Airo, Associazione italiana radioterapia oncologica. “E inoltre – continua – va fatta una distinzione tra terapia con protoni e terapia con ioni carbonio. Sulla prima abbiamo in letteratura dati sufficienti per utilizzarla, la seconda invece è promettente, perché molto più potente della radioterapia classica e quindi indicata per trattare tumori resistenti alle radioterapie tradizionali, ma ancora in una fase sperimentale. Abbiamo ancora pochi casi trattati, perché viene applicata per ora solo in due centri in Europa. Uno è nostro, è italiano, il CNAO di Pavia, che è davvero all’avanguardia”.
“La protonterapia (cioè l’adroterapia con protoni, ndr.) e la radioterapia tradizionale non differiscono negli effetti, che sono gli stessi – sottolinea Russi – ma nella tossicità per i tessuti sani: i protoni sono meno tossici. Ma questo non significa che è sempre meglio la protonterapia della classica radioterapia. Dipende dalla sede dal tumore. Se la massa è circondata da tessuti nobili, per così dire, e cioè tessuto nervoso, midollo, colonna, cranio, occhi, allora ha un senso utilizzare i protoni. Ce l’ha sia per il paziente, che avrà meno effetti collaterali importanti a lungo termine, sia per i sistemi sanitari, che alla lunga avranno meno oneri economici. Non ha senso invece applicare la protonterapia in sedi dove gli effetti collaterali della terapia a raggi X sarebbero comunque limitati o facilmente risolvibili, a fronte di una spesa molto più bassa: un trattamento con fotoni costa intorno agli 8-10 mila euro, uno con protoni 20-25mila. Quando il vantaggio non ci sarebbe, oppure lo svantaggio sarebbe minimo o accettabile, è saggio fare i conti con i costi. Va detto – conclude Russi – che il costo dei sincrotroni per i soli protoni, e ne abbiamo tre in Italia, si sta abbassando e si potrebbe dunque pensare di estendere la protonterapia in tempi relativamente brevi. La cosa è diversa per gli acceleratori degli ioni carbonio, molto più costosi”.
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