PALERMO – Vittorio Sgarbi prende tempo. “Andrò via ma prima devo portare a termine le iniziative che ho intrapreso. Quando avrò finito non sarò più assessore, perché così hanno deciso”. In una conferenza stampa convocata per presentare la mostra ‘Antonello incontra Laurana’ a Palazzo Abatellis di Palermo, l’ormai ex assessore regionale ai Beni culturali spiega i contorni della vicenda che lo vede ormai sulla soglia della giunta targata Musumeci: “Non sono ‘deluso’ da lui, ma chiamarmi per dirmi ‘devi dimetterti’ è stato da parte sua poco cortese. Io sono Sgarbi, se vuoi cacciarmi fallo ma non puoi ordinarmi di dimettermi”. Parole che riportano a galla il dialogo telefonico tra il critico d’arte e il governatore in presenza di Silvio Berlusconi: “Mi ha detto ‘devi decidere’ ma intendeva ‘devi decidere di andartene'”. Epilogo che il critico d’arte, autodefinitosi “l’unica opposizione ai grillini”, bolla come una “scortesia istituzionale. Da quella telefonata – aggiunge – non sento il governatore e non mi interessa sentirlo”.
Davanti al dialogo tra due capolavori del Quattrocento come l’Annunciata di Antonello da Messina e il Busto di Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana, “preludio di una possibile mostra di Antonello da Messina”, Sgarbi chiede dunque a Musumeci “ancora un po’ di tempo,almeno fino all’8 maggio, per potere portare a termine – sottolinea – le diverse iniziative avviate in questi mesi in assessorato. Fosse per me andrei via anche oggi per la sgradevolezza del comportamento nei miei confronti, ma vorrei avere il tempo di ultimare le iniziative avviate”. E ritornando sul patto siglato prima delle Regionali, che prevedeva il suo ‘trasloco’ a Roma solo in caso di nomina al rango di ministro, Sgarbi spiega: “Quella è una ipotesi che sembra lontana. La scelta ormai non è più tra assessore e ministro, ma tra assessore e deputato. Loro hanno deciso che devo andare via. Io sto chiedendo semplicemente che si rispetti il regolamento della Camera, che mi dà un mese di tempo per scegliere dall’insediamento della giunta per le elezioni. Arriveremmo in questo modo all’8 maggio, data del mio compleanno e giorno in cui mi cacciò la Moratti (ex sindaco di Milano, ndr)”.
“Musumeci? Non l’ho più sentito e non mi interessa sentirlo”, ancora il critico d’arte. Da qui la conclusione con una battuta ironica: “Ho avuto la sensazione che mi volessero fuori dai c…. . Io invece voglio rimanere, non per Musumeci e non per me, ma per dolcezza verso la Sicilia. L’attività del mio assessorato, del resto, è molto intensa:soffro il dovere rispondere a inutili polemiche e a questa continua tiritera su Sgarbi che ‘non c’è’. Non è che se strillano quattro grillini io debba andare via. Ho voluto portare al Comune di Palermo non delle cose preconfezionate tipo ‘Manifesta’ a cui guardo con sospetto, ma delle iniziative della Regione che sono almeno trenta”. E a chi gli chiede del pensiero sull’intera vicenda del commissario di Forza Italia in Sicilia Gianfranco Miccichè, Sgarbi risponde: “Voleva che io rimanessi il più possibile – è la risposta di Sgarbi -. È stato molto disponibile”.
Questo lo scenario descritto dall’assessore: “Devo sloggiare per lasciare il posto a qualcuno che, sono sicuro, sarà siciliano e appartenente a un partito. Non sono io che me ne vado – precisa ancora – sono stato di fatto cacciato ma me ne andrò quando lo consentirà il regolamento del Parlamento”. Sgarbi sulla via d’uscita, dunque, ma non ancora del tutto fuori: “Ho un piccolo ricatto per Musumeci, che non vede l’ora che me ne vada – ironizza -. Il 27 arriva un mecenate che porterà 39 milioni per Selinunte. Non li dà a me, ma deve trattare con me. Con chi tratterà se me ne vado? Fossi Musumeci aspetterei”. Il finale è contro il Movimento cinque stelle, che ha presentato una mozione di censura all’Ars nei confronti di Sgarbi: “Quando i Cinquestelle dicono che Sgarbi non ha fatto assolutamente nulla è perché loro non capiscono niente. E’ inutile fargli vedere Antonello e Laurana perché pensano che siano uno un parrucchiere e l’altro un profumiere. Sono delle menti così basse – conclude – che non si può pensare che capiscano la sfumatura di far scendere un quadro e farlo dialogare con un altro quadro”.
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