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Trattativa Stato-Mafia, sentenza storica: Mori e Dell’Utri condannati a 12 anni. 8 anni a Giuseppe De Donno

By   /  20 Aprile 2018  /  No Comments

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Sette minuti e cinquanta secondi. Tanto ci ha impiegato il giudice Alfredo Montalto per dire che non solo la Trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato c’è stata, ma che ad averla fatta sono stati i boss mafiosi, tre alti ufficiali dei carabinieri e il fondatore di Forza Italia. Mentre la piovra assassinava magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, inermi cittadini nelle stragi di Firenze e Milano, uomini delle istituzioni hanno cercato un contatto: sono diventati la cinghia di trasmissione della minaccia mafiosa. Che alla fine ha ottenuto un riconoscimento grazie a Marcello Dell’Utri, uomo cerniera degli obiettivi di Cosa nostra quando s’insedia il primo governo di Silvio Berlusconi. È una sentenza che riscrive la storia della fine della Prima Repubblica e l’inizio della Seconda quella emessa dalla Corte di Assise di Palermo.

 

Condannati boss, carabinieri e Dell’Utri – I giudici hanno condannato a dodici anni di carcere gli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni. Stessa pena per  l’ex senatore Marcello Dell’Utri e il mafioso Antonino Cinà, medico fedelissimo di Totò Riina. Otto gli anni di detenzione inflitti all’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, ventotto quelli per il boss  Leoluca Bagarella. Per il cognato dei capo dei capi, dunque, una pena superiore rispetto ai sedici anni chiesti dai pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, che invece per Mori volevano una condanna pari a 15 anni. Prescritte, come richiesto dai pm, le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca.

La minaccia allo Stato – Sono stati tutti riconosciuti colpevoli del reato disciplinato dall’articolo 338 del codice di penale: quello di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Hanno cioè intimidito il governo con la promessa di altre bombe e altre stragi se non fosse cessata l’offensiva antimafia dell’esecutivo. Anzi degli esecutivi che si sono alternati alla guida del Paese tra il giugno del 1992 e il 1994: quelli di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi alla fine della Prima Repubblica, quello di Silvio Berlusconi, all’alba della Seconda.

 

L’assoluzione di Mancino – Assolto dall’accusa di falsa testimonianza l’ex ministro democristiano e presidente del Senato Nicola Mancino. Massimo Ciancimino, invece, è stato condannato a otto anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia Giovanni de Gennaro. Il figlio di don Vito, uno dei testimoni fondamentali del processo, è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici hanno inoltre condannato Bagarella, Cinà, Dell’Utri, Mori, Subranni e De Donno al pagamento in solido tra loro di dieci milioni di euro alla presidenza del Consiglio dei ministri che si era costituita parte civile.

Riscritta la storia della Seconda Repubblica – La parte lesadel processo sulla Trattativa è infatti il governo, intimidito dall’escalation di terrore intrapresa dai corleonesi dopo che gli ergastoli del Maxi processo istruito da Falcone e Borsellinodiventano definitivi. C’è una data ed è quella che cambia per sempre la storia d’Italia: il 30 gennaio del 1992. Quel giorno a Roma nonostante le promesse dei politici, i boss mafiosi vengono condannati all’ergastolo. È il “fine pena mai” lo spettro che scatena la furia di Riina, capo dei capi di un’organizzazione criminale all’epoca titolare di un’enorme potenza di fuoco. Già dalla fine del 1991 il boss corleonese aveva cominciato a riunire periodicamente i suoi in un casolare in provincia di Enna per dettare la linea: in caso di pronuncia sfavorevole bisognava “pulirsi i piedi“. Bisognava, cioè, massacrare tutti quei politici che non avevano rispettato i patti. Il primo è Salvo Lima: la sua chioma bianca riversa nel sangue di Mondello il 12 marzo del 1992 è l’atto numero zero della guerra allo Stato. Ma è anche un messaggio diretto ad Andreotti nel giorno in cui iniziava la campagna elettorale per le politiche di aprile. “Il rapporto si è invertito: ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola”, scrive su La Stampa Falcone, poche settimane prima di saltare in aria nella strage di Capaci.

Carabinieri e Forza Italia: il nuovo patto – Nel frattempo i carabinieri del Ros hanno già tentato di aprire un dialogo con la Cupola, agganciando Massimo Ciancimino e usando il padre Vito come interlocutore: per questo motivo Mori, De Donno e Subranni sono stati condannati per i fatti commessi fino al 1993. Con la loro condotta hanno cioè veicolato la minaccia di Cosa nostra fino al cuore dello Stato. La stessa cosa che ha fatto Dell’Utri, riconosciuto colpevole per i fatti commessi nel 1994. Come dire: la trattativa la aprirono i carabinieri, ma la portò avanti e la chiuse il fondatore di Forza Italia. Certo bisognerà attendere il deposito delle motivazioni, ma la condanna di oggi in pratica ha riconosciuto che Dell’Utri ha siglato il nuovo patto con Cosa nostra. È in pratica l’uomo cerniera, la cinghia del volere mafioso nei confronti dell’esecutivo che s’insedia nel 1994: il primo presieduto da Berlusconi.

Di Matteo: “Sentenza storica” – “Che la trattativa ci fosse stata non occorreva che lo dicesse questa sentenza. Ciò che emerge oggi e che viene sancito è che pezzi dello Stato si sono fatti tramite delle richieste della mafia. Mentre saltavano in aria giudici, secondo la sentenza qualcuno nello Stato aiutava Cosa nostra a cercare di ottenere i risultati che Riina e gli altri boss chiedevano. È una sentenza storica”, ha detto subito dopo la lettura del dispositivo il pm Di Matteo, l’unico magistrato titolare dell’inchiesta fin dall’apertura delle indagini. “Naturalmente va analizzato attentamente questo dispositivo, che in linea di massima conferma la tesi principale dell’accusa, che ha riguardato l’ignobile scambio, chiamato semplicemente trattativa ma che nascondeva il ricatto della mafia allo Stato. Ricatto al quale si sono piegati alcuni elementi delle istituzioni, contribuendo a far sì che tale ricatto arrivasse nelle stanze più alte dello Stato perché venissero riconosciuti alla mafia benefici indicibili. È un processo che bisognava fare a tutti i costi. C’erano delle ipotesi d’accusa, e avevamo il dovere di procedere. Le carte ci dicono che abbiamolavorato bene e che si trattava solo di rispondere a esigenza di giustizia e verità per i fatti accaduti nel paese tramortito dalla violenza nel 1992 e 1993″, è il commento di Teresi, che ha coordinato il pool per tutta la durata del processo.

L’avvocato di Mori: “Non è un giudizio ma un pregiudizio” – Polemiche, ovviamente, le dichiarazioni degli avvocati difensori. “Aspettiamo di leggere le motivazioni però è chiaro che 12 anni di condanna la dicono lunga sulla decisione della corte. C’e’ in me un barlume di contentezza, in un mare di sconforto. Sono contento perché so che la verità è dalla nostra parte. È un giorno di speranza. Possiamo sperare che in appello ci sarà un giudizio, perché questo è stato un pregiudizio“, dice Basilio Milio, legale di Mori. “Dobbiamo capire questa sentenza che è inaspettata e in controtendenza con le assoluzioni di Mannino e Mori. C’e’ un periodo per il quale Dell’Utri è stato assolto che sarebbe quello precedente al governo Berlusconi, mentre per l’altro periodo ha riportato una condanna estremamente pesante di 12 anni. Ovviamente è una sentenza che impugneremo”, dice Giuseppe Di Peri, legale del fondatore di Forza Italia.

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