L’ex ministro delle Finanze greco che uscì sbattendo la porta intervistato dal Fatto Quotidiano: “La battaglia con l’Unione europea va fatta per cambiare le regole, non per violarle”
“È stato un giorno triste quello in cui Alexis Tsipras ha lottato per convincere Bruxelles e Berlino di essere il loro uomo. Quindi, no, non sono d’accordo sul suo consiglio all’Italia che è meglio cedere subito”. Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze greco che uscì sbattendo la porta dal primo governo Tsipras, ha appena finito di parlare. Per due ore davanti a tutta la business community italiana allo Studio Curtis, ultimo piano con vista su piazza Venezia a Roma, ha espresso opinioni e valutazioni sulla politica mondiale.
Stimolato da Sir Martin Sorrell, uno dei più grandi comunicatori mondiali (è stato per 33 anni a capo della WPP). Da Macron (“che ha solo 6 mesi davanti a sé per provare a sopravvivere”), alla May (“il tipo di accordo stretto con la Ue è una scelta totalmente sbagliata”) a Putin (“è così importante perché l’Europa e gli Stati Uniti glielo consentono, non facendo una politica energetica e tollerando le sue violazioni dei diritti umani”). Ha appena annunciato la candidatura alle Europee con il suo movimento transnazionale, Diem 25, come capolista in Germania.
Per le liste in Italia, sta per partire la raccolta firme: mettere insieme i partiti a sinistra si è rivelata una mission quasi impossibile.
Cosa dovrebbe fare il governo italiano?
Deve decidere se vuole cambiare le regole o fare una battaglia per violarle, che non serve a niente. Il mio problema con questo governo è che sta continuando la strategia di Renzi. Mandare avanti il ministro e poi dire che le richieste dell’Europa non vanno bene. Dovrebbe invece dire: ‘Ok, non possiamo rispettare queste regole, ecco il nostro piano per cambiarle’.
Quindi, sbaglia ad abbassare la manovra dello 0,2%?
Sì. Dovrebbe presentare la richiesta di un piano straordinario di investimenti europei, ovvero bond della Banca europea, per investimenti veri come riconversioni ecologiche e industriali. Se fosse accettato, l’Italia si impegna a rispettare tutti gli impegni, se fosse negato, dovrebbe partire con un piano unilaterale di investimenti nazionali e arrivare anche al 3%.
Cosa pensa di Salvini?
È stato creato dal fallimento dell’establishment, che ha bisogno di esibirlo come nemico. Ma funziona anche al contrario. È tutta una pantomima: Juncker è funzionale a Salvini e viceversa. Un esempio? Macron non sarebbe mai stato eletto senza Marine Le Pen.
E di Luigi Di Maio? Ci parla?
Ci ho parlato in passato, mi ha fatto domande, è stato molto educato, ma ora non vedo motivo per farlo: i Cinque Stelle non sono quelli di tre anni fa. Non li capisco: hanno perso ogni occasione di essere un’opportunità per cambiare l’Europa democratica. Sono diventati uno strumento nelle mani di uno xenofobo come Salvini.
Cosa pensa del reddito di cittadinanza?
Sono a favore di questa misura. Ma in questo caso, si tratta solo di un reddito minimo garantito, che è subordinato all’accettazione di una proposta di lavoro. Non è una soluzione strutturale.
Lei ha detto che la riduzione dell’età pensionabile dovrebbe riguardare solo lavoratori manuali e quelli a bassa retribuzione, quindi non chi lavora nella finanza, nella Pa, nelle professioni.
Sarebbe un primo passo, ma dovrebbe riguardare anche professionisti come gli insegnanti o i dottori negli ospedali. Bisognerebbe concordare con i sindacati diverse fasce d’età, ma lasciare fuori i dirigenti e usare i soldi risparmiati in investimenti.
Draghi ha annunciato la fine del Quantitative easing a dicembre. È preoccupato?
Non è quello che fa la differenza. È come curare il cancro con il cortisone: il malato sta meglio, ma non guarisce.
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