L’Italia, in sei anni, è passata dal quinto all’ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori Paesi produttori. È quanto si legge nel rapporto ‘Scenari industriali’ del Centro studi di Confindustria. “In sé – commenta – rimane ancora un ottimo piazzamento se si considera che il Paese è 23esimo per stazza demografica”. A guidare la graduatoria è la Cina, seguita da Stati Uniti, Giappone, Germania, Corea del Sud, India e Brasile. Subito dopo l’Italia ci sono Francia e Russia. L’arretramento italiano “va al di là della fisiologica avanzata” dei Paesi emergenti perché “è stato accentuato da demeriti domestici: nel 2007-2013 la produzione è scesa del 5% medio annuo, una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi Paesi manifatturieri”.
È stata la crisi economica ad erodere il tessuto produttivo italiano e mandare in fumo oltre un milione di posti di lavoro. Il Centro Studi di Confindustria torna a lanciare l’allarme per le imprese italiane: in 12 anni le aziende sono diminuite di 120 mila unità e gli occupati diminuiti di 1 milione e 160 mila unità.
In Italia, osservano gli industriali, si è verificata una “massiccia erosione della base produttiva”. Ne emerge “un quadro impietoso” con una contrazione, tra 2001 e 2011, di oltre 100 mila unità locali e quasi un milione di addetti. Una riduzione proseguita nel biennio successivo: altri 160 mila occupati e 20 mila imprese in meno. In 13 anni, tra il 2000 e il 2013, la produzione manifatturiera italiana è crollata del 25,5% mentre quella mondiale è cresciuta del 36,1%. “L’andamento della produzione manifatturiera italiana – spiega il Centro Studi – è anomalo rispetto ai principali paesi industriali, e ha risentito profondamente della contrazione di investimenti e consumi interni”.
Per questo sono “vitali interventi tempestivi” perché partire in ritardo “significa perdere terreno nei confronti dei paesi concorrenti”. Inoltre “l’urgenza dell’iniziativa politica per mettere al centro il settore manifatturiero è dettata anche dalla sfide che i cambiamenti tecnologici propongono”.
Il lavoro è la “priorità assoluta” da affrontare, soprattutto alla luce del “bollettino di guerra” del settore e dei “dati tragici” sull’occupazione diffusi dall’Istat, commenta il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, spiegando che per creare lavoro occorre puntare con decisione sul rilancio del manifatturiero. Tutti gli sforzi vanno, dunque, rivolti al “rilancio del settore manifatturiero”. Anche perché, a giudizio del numero uno degli industriali, “senza un manifatturiero in salute e con un ruolo centrale nei processi dell’economia non ci può essere crescita, e senza crescita è impossibile generare lavoro. E proprio “il lavoro – ha insistito Squinzi – è la nostra priorità assoluta, una priorità che deve orientare tutte le nostre azioni, le nostre scelte, le nostre decisioni a livello di imprese, di Confindustria, di Governo, di istituzione europee, se dobbiamo prima resistere e poi rispondere a una produzione industriale caduta del 5% annuo nel nostro paese, alla retrocessione di tre posizioni nella graduatoria mondiale dei paesi più industrializzati e a un Pil diminuito del 9% con le conseguenze che purtroppo conosciamo sull’occupazione e le condizioni di vita delle famiglie italiane”.
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