In barba a qualsiasi legge di Lavoisier, ci sono storie che vengono fuori letteralmente dal nulla. Per esempio, la sai quella del portiere messicano a cui scadeva il contratto durante i Mondiali di calcio?
Nel girone eliminatorio di Brasile 2014, alla seconda partita ai padroni di casa tocca affrontare il Messico, che a batterlo la qualificazione diventerebbe quasi certa. E allora giù di torcida sugli spalti, e di inno cantato a squarciagola, e di Neymar che già prima di cominciare piange per la commozione. E insomma l’happy end sembra dietro l’angolo, giusto il tempo di sistemarsi in campo e infilare quella porta e poi non resterà che festeggiare fino a tarda notte.
È un martedì di giugno e a Fortaleza sono più o meno le sedici, lo stadio è un catino giallo stracolmo di scalmanati che non aspettano altro che la vittoria della Seleçao, e per loro Guillermo Ochoa è solo l’estremo difensore della squadra avversaria, il tizio destinato a raccogliere più palloni possibile in fondo alla rete mentre loro lo irridono.
Ochoa ha quasi ventinove anni e i riccioli governati a fatica da una fascia nera, quel che non ha più è una squadra, perché quella in cui stava è retrocessa ancora e quindi l’ha lasciata lui un mese prima che il contratto scadesse. Per andare a giocarsi i Mondiali. Avrà pensato che è strano, certo. Portiere della nazionale da quasi dieci anni, eppure la sua carriera non è mai decollata. Tutti lo volevano e nessuno lo prendeva. Ah, ma al diavolo stavolta, stavolta o la va o la spacca.
Il primo incontro col Camerun è andato bene ma non c’è stato granché da fare, 1-0 e nessun intervento, però il Brasile è il Brasile e la partita è già cominciata. E a un certo punto arriva un pallone al centro dell’area, e Neymar si alza sopra Rafa Márquez come se non gli dovesse otto centimetri buoni, e colpisce che sembra quasi di vedere un altro numero dieci sopra la testa del nostro Burgnich, giusto quarantaquattro anni prima.
Sembra fatta davvero. Tutto torna. Il ragazzino baciato dal dio del futebol e destinato a vendicare il Maracanazo del ’50, desiderato da mezza Europa e finito a giocare al fianco del divino Messi, autore di una doppietta nel primo incontro del girone e pronto a ripetersi stasera. Ma proprio quando la sfera arriva vicino alla porta capisci che no, che ci siamo sbagliati tutti, che, anche se il Mondiale è lo stesso, il colpo di testa da ricordare è quest’altro.
Ochoa sfida la gravità e si lancia sulla sua destra, è un tuffo lunghissimo e la sua mano protesa alla fine dà uno schiaffo alla palla, proprio sulla linea, proprio a un soffio dal palo e proprio un secondo prima di entrare, e intanto allo stadio Casteláo si spezza l’urlo in gola. Il portiere si rialza, e intanto che i brasiliani continuano a provarci capisce che questa è la serata perfetta, quella che capita una volta nella vita e nemmeno a tutti.
Paulinho da tre metri al massimo gli tira addosso, di nuovo Neymar da appena fuori l’area piccola ma lui la para ancora, Thiago Silva su un cross la prende così forte che sembra voler sfondare la rete eppure Ochoa è ancora lì e la allontana. E intanto che il pubblico ammutolisce si rende conto che adesso ha solo da scegliere la società per la prossima stagione.
L’arbitro fischia tre volte, Ochoa esce dal campo come un eroe e questa è una storia meravigliosa e appassionante di quelle che il calcio a volte sa regalare. E che mi sembrano l’unico motivo per seguire ancora, di tanto in tanto, questo sport che da parecchi anni ormai è diventato un business triste.
Vito Aguanno
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