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Hong Kong: cosa serve sapere sulle proteste di #Occupycentral, Umbrella Revolution

By   /  1 Ottobre 2014  /  No Comments

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Nonostante gli appelli del ‘premier’ locale Leung Chun-ying, a dispetto delle preoccupazioni e dei tentativi cinesi di nascondere sotto il tappeto la protesta, la marea umana che nel week end ha occupato strade e piazze ad Hong Kong sembra tutt’altro che intenzionata ad arrendersi. Anche martedì, infatti, alla vigilia della ricorrenza della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, benché la BBC riporti di una relativa calma numerosi manifestanti hanno deciso di mantenere la posizione, continuando a chiedere maggiore democrazia da parte del Dragone. La grande mobilitazione popolare, caratterizzata da una partecipazione che ha presumibilmente colto in fallo anche Pechino, è stata da più parti paragonata simbolicamente ad una sorta di nuova piazza Tienanmen.

Nonostante gli appelli del ‘premier’ locale Leung Chun-ying, a dispetto delle preoccupazioni e dei tentativi cinesi di nascondere sotto il tappeto la protesta, la marea umana che nel week end ha occupato strade e piazze ad Hong Kong sembra tutt’altro che intenzionata ad arrendersi. Anche martedì, infatti, alla vigilia della ricorrenza della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, benché la BBC riporti di una relativa calma numerosi manifestanti hanno deciso di mantenere la posizione, continuando a chiedere maggiore democrazia da parte del Dragone. La grande mobilitazione popolare, caratterizzata da una partecipazione che ha presumibilmente colto in fallo anche Pechino, è stata da più parti paragonata simbolicamente ad una sorta di nuova piazza Tienanmen.

Chi sono i manifestanti?

 Principalmente studenti, liceali e universitari. In particolar modo, la composizione delle 80 mila persone scese in piazza è divenuta più disomogenea nel week end appena trascorso, quando la manifestazione ha raggiunto (per ora) il suo apice. Alle proteste inizialmente solo o per lo più studentesche, infatti, hanno preso parte, attraverso l’iniziativa del gruppo pro-democratico Occupy Central for Love and Peace, anchecittadini di ogni età e di ogni provenienza sociale. Questo ha ovviamente elevato la protesta iniziale ad un vero e proprio movimento che ha coinvolto larghe fette di popolazione, contribuendo ad alzare la tensione tra la piazza, il governo locale di Hong Kong e il Dragone.

 

Perché (e quando) sono cominciate le mobilitazioni?

 Le prime dimostrazioni, tra cui il boicottaggio delle lezioni da parte di studenti di Università e licei, sono cominciate tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. L’ultima settimana dello scorso mese, infatti, Pechino ha sbugiardato quanto promesso in precedenza ed è tornata a dire ‘no’ alla possibilità di elezioni effettivamente libere per il 2017, quando ai cittadini sarà permesso per la prima volta di votare il governo locale di Hong Kong. In sostanza, benché sia previsto l’appuntamento elettorale come parvenza di democrazia, i potenziali candidati alla carica di ‘premier’ del governo devono essere preventivamente approvati dal Dragone attraverso un’apposita commissione. La cosa, ovviamente, non è stata accolta con favore da molti cittadini, i quali lamentano inoltre l’eccessivo controllo cinese nonostante le belle parole spese da Pechino dopo il 1997, quando Hong Kong è tornata ad essere sua proprietà in seguito agli anni dell’occupazione britannica.

 

In sostanza, le richieste dei manifestanti si possono riassumere in due punti (il secondo è specifica volontà ed è stato promosso in particolar modo dal gruppo Occupy Central for Love and Peace ):

 

  •  Libere elezioni pienamente democratiche per il 2017, senza alcuna interferenza da parte cinese;
  •  Dimissioni dell’attuale esecutivo locale e del ‘premier’ Leung Chun-ying.

 

“Un Paese, due Sistemi”: come funziona il rapporto tra Cina e Hong Kong?

 Come già specificato, Hong Kong è tornata ad essere cinese nel 1997. In linea del tutto teorica, allora Pechino garantì alla città il mantenimento di una propria sorta di autonomia, libera quindi dalla forte impronta comunista dell’establishment di Pechino. Questo, almeno, per 50 anni, quando nel 2047 tutta l’area tornerà, in ogni senso, sotto il controllo del Dragone. Ovviamente, come ne sono dimostrazione le grandi proteste di questi giorni, le promesse sono state largamente disilluse. Molti cittadini si sentono stretti nella morsa cinese, che oltre a controllare la Difesa e la politica Estera di Hong Kong pone veti piuttosto restrittivi anche sulle elezioni del governo locale.

 

Perché si parla di ‘Umbrella Revolution’?

 Nel tweet, un’immagine modificata del famoso Tank Man, vista l’importanza simbolica degli ombrelli nella protesta diventato Umbrella Man:

 Nelle scorse ore sono circolate in rete numerose immagini di manifestanti intenti a ripararsi dagli strumenti anti-sommossa delle forze dell’ordine con ombrelli più o meno grandi. La cosa ha immediatamente caratterizzato le proteste agli occhi della stampa internazionale, che ha guardato sempre con maggiore attenzione al fenomeno.

 

Gli ombrelli, come già accennato, messi nelle prime file dei cortei, vengono utilizzati come scudi contro lacrimogeni e spray urticanti, mentre non mancano manifestanti che hanno sfruttato gli stessi ombrelli come cartelloni scrivendo sulla parte superiore per lanciare slogan e messaggi. Tuttavia, come hanno specificato alcuni osservatori internazionali, gli ombrelli non sono stati portati in piazza con il preciso intento di formare delle ‘barricate’, bensì i partecipanti alle proteste ne avrebbero fatto di necessità virtù.

 

In sostanza, spiega ad esempio Vox, la fine di settembre è stata particolarmente calda ad Hong Kong, e per questo motivo i manifestanti portavano con loro gli ombrelli come riparo dal sole. Ovviamente, con lo scoppiare delle dimostrazioni e con il duro intervento della polizia tra domenica e lunedì, questi sono diventati ottimi strumenti di resistenza e conseguentemente uno dei simboli principali delle proteste, tanto che alcuni media le hanno rinominate ‘Umbrella Revolution’.

 

Tutta Hong Kong è a favore delle protese?

 No, anzi. Sparsi per la città vi sono numerosi gruppi pro-Pechino, i quali denunciano le manifestazioni in corso come minacce all’immagine della città – convinzione che è aumentata quando è stato preso di mira dai manifestanti il quartiere economico e finanziario di Hong Kong – e alla quale hanno risposto, ovviamente con piena copertura mediatica del Dragone, con contro manifestazioni e sit-in. Secondo un sondaggio condotto durante il mese di settembre dalla Chinese University, il 46% degli intervistati è contrario al movimento Occupy Central, mentre il 31% sostiene le proteste e i manifestanti.

 

Cosa succederà nei prossimi giorni?

 Avere certezze sull’immediato futuro delle proteste di Hong Kong non è facile, ma qualche scenario è ipotizzabile. Il ‘premier’ della città ha specificato di non volere l’aiuto delle forze dell’ordine cinesi, ma se le manifestazioni dovessero proseguire tra oggi e domani con la stessa intensità dei giorni precedenti il quadro potrebbe cambiare. Innanzitutto, la stessa polizia di Hong Kong potrebbe intervenire ancora più duramente mettendo in campo l’utilizzo di proiettili di gomma ed altri strumenti che alzerebbero notevolmente la tensione, significando una vera e propria crisi per la città. Da parte sua, per il momento, la Cina sembra voler osservare la piega che prenderanno gli eventi. Sicuramente il Dragone non ha in mente particolari concessioni, anzi. Cedere di fronte ai manifestanti creerebbe un pericoloso precedente a cui altre regioni in tumulto, su tutte lo Xinjiang o Macao, potrebbero appellarsi per maggiori autonomie e libertà. Il rischio più grande, tuttavia, resta quello di una repressione particolarmente violenta delle proteste. Sicuramente uno scenario alla Tienanmen appare difficile, anche perché oggi una simile brutalità non potrebbe essere nascosta sotto alcun tappeto, vista l’attenzione pressoché generale che il caso di Hong Kong ha attirato su di se. Eppure, che la situazione possa degenerare nei prossimi giorni, aprendo a scenari violenti, non è da escludere.

A Facebook, Twitter e Youtube, nella lista dei social network bloccati per volere di Pechino, domenica sera si è aggiunta anche Instagram, come riportato da più attivisti e confermato da numerosi reporter internazionali. Inoltre, ingenti operazioni di censura sono state operate alle possibilità di ricerca sul World Wide Web, mentre le parole “Occupy Central”, nome sotto cui si sono riunite le proteste, sono state eliminate come possibili chiavi per scovare post o riferimenti su Sina Weibo, il cosiddetto Twitter cinese. La lunga mano della propaganda del Dragone è arrivata anche sulle applicazioni per cellulari, bloccate in toto o in alcune loro sezioni, oscurando anche in questo caso articoli o altre informazioni ‘non filtrate’ sulle proteste di Hong Kong.  

 

 

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