C’era una volta il decreto 66/2014, per gli amici “decreto 80 euro” o “bonus Renzi”. Esso prevedeva tre cose fra quelle più ampiamente pubblicizzate: il bonus 80 euro (che è un aumento di spesa pubblica), il taglio dell’IRAP dal 3,9% al 3,5% (un taglio delle tasse) e un aumento delle imposte sul risparmio su tutti i titoli che non sono titoli di Stato (ovvero un aumento delle tasse).
Fast-forward a sei mesi dopo: il governo approva una legge di stabilità che fa sparire retroattivamente il taglio dell’IRAP, sicché delle tre mitologiche misure contenute in quel decreto rimangono solo l’aumento di spesa pubblica (il bonus Renzi, che verrà finanziato in deficit nel 2015) e l’aumento delle tasse in capo ai risparmiatori e sulle aziende che vorrebbero finanziare gli investimenti ricorrendo al mercato. Basterebbe questo per evidenziare che il governo Renzi ha aumentato le tasse nel 2014, e chiudere qui l’articolo. Ma le tabelle rilasciate dal governo lasciano intendere che il maggior taglio delle tasse della storia comporta in realtà un aumento delle medesime: a fronte di un taglio delle tasse da circa 6 miliardi, Renzi ha inserito un aumento delle medesime per circa 15. In sintesi le tasse si aggravano per oltre 8 miliardi: bisogna dire Monti fu più onesto a riguardo (e probabilmente, proprio per questa onestà, oggi è ai margini della politica).
Ma quali tasse Renzi ha aumentato e aumenterà? Il governo è intervenuto per cambiare le carte su tutti i fronti temporali: sul presente (ovvero nel 2015) e sul futuro (dal 2016 in poi), ma (e questa è la cosa peggiore) anche sul passato, ovvero cambiando retroattivamente le carte in tavola a partire dal primo gennaio 2014. Ennesimo “non cambio verso” di Renzi, visto che molti suoi predecessori hanno stuprato il contribuente usando la macchina del tempo e cambiando il passato.
La legge di stabilità prevede che siano aumentate retroattivamente sia le imposte sulle somme (al netto di una parte trascurabile) percepite dai beneficiari di polizze vita (che sono attualmente esenti e non lo saranno più dal primo gennaio 2014 – nessun errore, duemilaquattordici, i paradossi sono normali quando si viaggia nel tempo come fa il governo Renzi) sia quelle sui fondi pensione, che passano dall’11,5 al 20% a partire dallo scorso capodanno.
Riassumendo quanto detto finora: nel 2014 nulla cambierà per le imprese (pagheranno la stessa IRAP nel 2015), mentre sono state aumentate le tasse ai risparmiatori, ai lavoratori dipendenti (sul loro reddito futuro) e ai morti (ok, ai loro eredi).
Va meglio nel 2015? Non troppo, e forse andrà anche peggio per motivi non troppo pubblicizzati. Scatta nel 2015 un aumento dell’imposizione fiscale sul TFR (dall’11 al 17%), ovvero aumenta l’imposizione fiscale sul reddito futuro dei lavoratori. Chi sceglierà di prendere il TFR in busta paga, inoltre, lo vedrà tassato ad aliquota marginale, ovvero gli andrà anche peggio rispetto a coloro che non richiederanno il pagamento della liquidazione in busta paga.
C’è chi dice che questa misura converrà a chi ha un reddito inferiore ai 15 mila euro, ma ciò è probabilmente falso, poiché non sembrano essere state prese in considerazione le detrazioni che verrebbero meno a causa dell’aumento dell’imponibile. Conviene farsi bene i conti perché, una volta scelto di prendere il TFR in busta paga, si resterà in dannazione fino al 2018, dato che la scelta non è revocabile.
Molti giovani avranno una strada in meno per entrare nel mondo del lavoro a causa di un aumento fiscale, quello sulle partite IVA: molte persone in cerca di prima occupazione non riescono a trovarla poiché pure avendo qualche titolo da vantare sono costretti a indietreggiare di fronte a delle offerte di lavoro per via della scarsa o nulla esperienza.
Per ovviare a questo sistema era stato introdotto un regime agevolato forfettario che rendeva (e rende) conveniente per le imprese assumere “dipendenti” mascherandoli da autonomi. Ciò permetteva a giovani (e anche a meno giovani) di trovare più facilmente mestieri con i quali accumulare esperienza in attesa di trovare un posto un po’ meno irregolare, e intanto creando nuova ricchezza.
Questa strada è stata resa più pesante dal governo, che ha triplicato l’aliquota IRPEF dal 5 al 15%, cui vanno aggiunti i contributi previdenziali, che portano la pressione fiscale fra il 25 e il 50% circa, a seconda del carico previdenziale correlato alla categoria.
Inoltre nel 2015 aumenteranno (di ben due punti percentuali) i contributi richiesti a chi è iscritto alla gestione separata INPS (ma questa non è una decisione di Renzi, benché possa provare a fermare l’aumento).
Questione 80 euro: il bonus resta ovviamente confermato, ma il governo sta provando a trasformarlo in detrazione (ovvero non sarebbe più un aumento di spesa pubblica, bensì un effettivo taglio delle tasse). Si tratta di un campo minato, poiché una detrazione che non vale per i redditi da 0 a (circa) 8mila euro, ma vale per chi porta a casa fra (circa) 8mila e 24mila euro potrebbe non piacere alla Corte Costituzionale, in tal caso facendolo sparire. Per ora, nelle tabelle relative alla legge di stabilità, gli 80 euro sono ancora classificati come spesa pubblica, non come taglio delle tasse.
Ma gli 80 euro potrebbero sparire anche a causa del TFR in busta paga: questo, aumentando il reddito, potrebbe farlo uscire da quella soglia delle meraviglie per i quali se ne ha diritto, con il rischio di essere beffati due volte (non solo si pagano più tasse grazie al TFR, ma si perdono pure gli 80 euro).
Andando più avanti nel futuro il quadro si fa ancora più fosco: benché Renzi sia riuscito, per ora, a impedire un ben più corposo taglio delle detrazioni IRPEF nel 2015, restano comunque pronti a scattare quelli relativi al 2016 (4 miliardi) e negli anni successivi (7 miliardi). Abbiamo poi la famigerata clausola di salvaguardia, quella che, se le cose non andranno come previsto (e finora sono andate sempre peggio del previsto), farà aumentare le accise sulla benzina e l’IVA fino al 25%. Secondo Marco Sensini del Corriere della Sera stima che “Sul futuro […] pende un fortissimo aumento delle imposte, quasi 20 miliardi nel 2015, e 30 nel 2018.”
Il governo Renzi si è finora distinto per avere aumentato il reddito disponibile con gli 80 euro (anche se non a chi ne avrebbe maggior bisogno, con la conseguenza di avere avuto scarsi effetti sui consumi) e di avere aumentato enormemente l’imposizione fiscale per coloro i quali pensano al proprio futuro (i risparmiatori e i lavoratori) per volontà (aumento delle imposte sul risparmio e retroattivamente sui fondi pensione) o per costrizione (TFR). La prima misura non ha avuto gli effetti sperati (i consumi continuano a languire, e così i fatturati delle imprese), e la seconda farà sentire i suoi venefici effetti negli anni a venire. Tutti da vedere e da valutare gli effetti della spending review, che rischia di essere traslata sui cittadini con l’ennesimo aumento della pressione fiscale regionale oppure con un taglio dei servizi.
La speranza è per una ripresa dell’occupazione grazie al taglio dell’IRAP sulla componente lavoro (i cui effetti monetari saranno evidenti solo nel 2016, quando si faranno le dichiarazioni sui redditi 2015) e dei contributi per i neoassunti, due misure i cui effetti rischiano di essere stati tragicamente sovrastimati. Tutto questo va visto nell’ottica di un rallentamento globale dell’economia, che rischia di appesantire la debole ripresina italiana (prevista), peggiorando i conti del Paese.
Aumento delle tasse sul passato, sul presente e sul futuro, con ulteriori aumenti delle imposte già decisi (l’IVA) o probabili (imposte regionali); incertezza sul bonus 80 euro; deficit spinto fino al limite del 3%; tutte le speranze riposte in una ripresa che potrebbe non esserci (anche per questioni esogene, ovvero per cause esterne all’Italia) e in misure a difesa dell’occupazione che potrebbero essere state sovrastimate: l’Italia di Renzi sta camminando su un filo molto, molto sottile.
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