Spread e PIL sono due ‘fratelli’ che hanno cavalcato alla grande l’onda di questa crisi finanziaria. Il primo, il più ‘giovane’, ha riscosso un enorme successo nei momenti di più grande tensione negli ultimi anni. Poi è stato dimenticato, almeno parzialmente: sopravvissuta alle fiammate dei differenziali che facevano temere il crollo, la platea è tornata ad osservare attentamente l’altra metà del duo, il Prodotto Interno Lordo. Lo si guarda per certificare una crescita che latita, lo si osserva nella sua naturale derivazione Debito/PIL: l’essere poliedrico, insomma, si è ritagliato (nuovamente) un ruolo da protagonista negli studi economici del globo.
Ma il PIL, nella sua natura più intima, non è un concetto ‘statico’. E’ un aggregato, un quid in continuo divenire: il PIL include, il PIL esclude ed ogni volta il cambiamento si sente, c’è da starne certi. E’ importante, allora, che quando si parla di questo aggregato – per molti ‘speculum maius’ della nostra realtà economica – tra i vari Paesi ci sia una certa coincidenza tra le regole e le metodologie adoperate. Allineamenti che avvengono, più o meno, tra continenti; convergenze, decisamente più forti, che devono avvenire – ad esempio – nell’Unione europea. Standard: la stretta collaborazione tra l’Ufficio statistico della Commissione (Eurostat) e gli uffici contabili nazionali degli stati membri hanno già portato, nel passato, alla creazione di soluzioni armonizzate. Nasceva così, ad esempio, il Sistema dei conti nazionali SEC95. Il tempo è passato, la realtà economica è mutata (nel suo continuo divenire) ed ecco la news: siamo giunti al successivo step, è tempo di dare il benvenuto al SEC2010 (European System of National and Regional Accounts – ESA2010). Il nuovo sistema prenderà il via dal prossimo mese di settembre in tutti gli stati membri dell’Unione.
“Il SEC2010 – spiega direttamente l’Istat – definisce i principi e i metodi di Contabilità nazionale a livello europeo. Fissa in maniera sistematica e dettagliata il modo in cui si misurano le grandezze che descrivono il funzionamento di una economia (…) Rispetto alla precedente versione del 1995 (in vigore dal 1999), il Sec2010 presenta alcune importanti differenze riguardo sia l’ambito di applicazione sia i concetti”.
Parlando, strettamente, di questo Sec2010, cosa cambia? Le novità introdotte riguardano la capitalizzazione delle spese in Ricerca e Sviluppo (ora considerate di ‘investimento’ e non più come costi intermedi). Riguardano la “riclassificazione da consumi intermedi a investimenti della spesa per armamenti sostenuta dalle amministrazioni Pubbliche” (idem, come sopra). Riguarda una “nuova metodologia” di stima degli scambi con l’estero di merci da sottoporre a lavorazione (“processing”, si registrerà solo il valore del servizio di trasformazione e non più quello dei beni scambiati). E così via. Ma come arriviamo allora a “sesso e droga” (senza Rock ‘n’ Roll) nell’Unione? Tra cambiamenti interessanti e meri tecnicismi è infatti un altro l’aspetto che più fa ‘rumore’ a margine del passaggio tra i SEC e riguarda da vicino la ‘contabilizzazione’ delle attività illegali nel computo del PIL.
L’Istat, nella sua pagina di introduzione all’argomento, le dedica un paragrafetto separato dalle novità di cui sopra. Il titolo sembrerebbe voler, in qualche modo, ‘sminuire/ridimensionare’ il contenuto: “Altre modifiche sulle pratiche di compilazione dei conti” si legge. Di che parliamo? Tecnicamente non siamo nel campo delle ‘innovazioni’ del SEC2010, l’istituto ci tiene subito a precisarlo: “non strettamente collegate al SEC2010 ma condivise a livello europeo”. Più nel dettaglio: parliamo di alcune modifiche collegate al superamento di “riserve relative all’applicazione omogenea tra i paesi Ue di standard già esistenti”. Meglio ancora: tra gli standard in ‘sospeso’, a livello europeo, ce ne era uno che riguardava proprio l’inserimento nei conti delle attività illegali. Una “riserva trasversale” che è stata finalmente superata.
Piccolo chiarimento: il conteggio delle attività illegali, tanto nel nostro Paese quanto a livello europeo ed internazionale, non è di certo una novità dell’ultimo minuto.
Enrico Giovannini, ex presidente Istat e ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, ci aiuta a comprenderlo: “La notizia è interessante ma vorrei segnalare che non è legata a un nuovo Sistema dei conti nazionali perché l’inserimento delle attività illegali era già previsto dal Sec del 1993 ed in seguito da quello europeo del ’98 ma non veniva applicato in quanto non era stata trovata una concordanza sulla metodologia”. Ecco allora la vera novità: in ottemperanza di quell’antico “principio di esaustività”, anche le attività illecite verranno ora computate (in maniera uguale in ogni Paese). Cosa finisce nel calderone? Il traffico di sostanze stupefacenti, ad esempio. Ma anche al prostituzione ed il contrabbando di sigarette e/o alcol. Il tutto, ovviamente, calcolato nella maniera più uniforme possibile: cosa ora ‘facile’ grazie ai dettami redatti da ‘mamma Eurostat’.
Certo la misurazione rimarrà, come sempre, problematica: “[sarà] molto difficile [fare una corretta stima] per l’ovvia ragione che esse (le attività illegali, N.d.R.) si sottraggono a qualsiasi forma di rilevazione e lo stesso concetto di attività illegale può prestarsi a diverse interpretazioni”, dice sempre l’Istat. L’istituto, tuttavia, non è di certo nuovo a calcoli di questo genere che vanno infatti avanti sin dal governo Craxi. Il peso (la stima) dell’economia sommersa italiana, al 2008, si aggirava tra i 255 ed i 275 miliardi di euro (ovvero più dell’intero PIL della Grecia – $249,1 miliardi al 2012 – e tra il 17 ed il 18,6% del PIL italiano del 2012). Per farla breve, questa risistematina del PIL lo aiuterà (un minimo) in questi momenti in cui è difficile far quadrare i conti.
Ma di che crescita – una tantum – stiamo parlando? Modesta, ovviamente. Ma c’è di peggio: l’Italia, anche in questa speciale classifica, riesce a fare male il suo ‘dovere’ (si fa per dire). I calcoli dell’Eurostat parlano di una Media europea al +2,4%. Finlandia e Svezia dovrebbero veder rivalutato il PIL addirittura del +4-5%. Austria, Regno Unito e Paesi Bassi del +3-4%. Belgio, Danimarca, Francia e Germania del +2-3%. E l’Italia? Briciole come al solito (o poco più): l’intera manovra (prettamente contabile, lo ricordiamo) ci porterà (con Estonia, Irlanda, Slovacchia, Malta, Portogallo ed altri ancora) ad una variazione del PIL compresa tra un minimo dell’1% ed un massimo del 2%. In fondo alla classifica, come sempre. Ma forse si sta riponendo troppa fiducia in uno stimatore che troppo ‘completo/veritiero’ non è. “Una soluzione pratica a un problema particolare: è questo che spiega cosa è, di fatto, il PIL – ha scritto tempo addietro il Professor Fenoaltea – Voler identificare rapidamente l’andamento dell’economia nel breve periodo significa che non serve perdere tempo a misurare l’economia stessa, basta misurare variabili che siano, nel breve periodo, con questa correlate. Il PIL è di fatto solo un indice (…) Che si misuri sempre x, o il doppio di x, o la metà di x, le variazioni relative tra due osservazioni sono le stesse. I problemi sorgono se si esorbita dal breve periodo, dal nazionale, ché la percentuale di x che si misura può variare su tempi più lunghi, e ancor più da paese a paese”.
Fonte -IBT-
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