È meraviglioso accorgersi di quanto la politica internazionale possa dipendere dall’ondata emotiva del momento. Quest’estate, quando i cittadini europei erano sconvolti dall’ennesima tragedia in mare, l’Unione sembrava aver ritrovato lo spirito caritatevole di un tempo. Non importava quante difficoltà i Paesi Membri dovessero affrontare, la cosa fondamentale era non permettere che ci fossero altri morti, fare la propria parte, aiutare chiunque scappasse dalla guerra e dalla fame.
Oggi che però sulle nostre bacheche Facebook non campeggia più la foto del corpo senza vita del piccolo Aylan Kurdi e che l’indignazione per i muri ungheresi si è placata, il tono è cambiato. Radicalmente. L’Europa pensa di sospendere Schengen per proteggere sé stessa. E chi se ne frega della Siria, dell’Iraq, della Libia. Ma anche dell’Italia e della Grecia, che non avendo terre su cui ergere muri e costruire frontiere, ma solo mari difficili da difendere, pagheranno il prezzo più alto dell’egoismo continentale.
Sta dilagando quel populismo che un tempo veniva considerato il nemico numero uno dell’utopia continentale senza che nessuno ammetta qual è il reale significato di quello che sta accadendo. Nell’ambito di un’unione politica mai realmente realizzata e con un’unione economica sempre più scricchiolante e germanocentrica, Schengen è una delle poche cose che dà una parvenza di unità europea nonostante le divisioni tra gli Stati. Sospeso il trattato, tanto vale dichiarare il fallimento totale di un’entità sovranazionale che non ha più senso di esistere
Che cos’è Schengen
Schengen è lo spazio nato nel 1985 (ma l’Italia ha aderito cinque anni dopo) all’interno del quale i cittadini dell’UE e di Paesi terzi possono circolare liberamente senza controlli alle frontiere. Un “territorio comune” formato da 26 Stati: 22 membri dell’Unione Europea cui si aggiungono Liechtenstein, Svizzera, Norvegia e Islanda. Esclusi al momento, dato che per loro il trattato non è ancora entrato in vigore, Cipro, Croazia, Romania e Bulgaria mentre Regno Unito e Irlanda hanno deciso di esercitare la cosiddetta clausola di esclusione che implica la mancata adesione alla convenzione.
Lo stesso trattato prevede per i singoli Stati la possibilità di revoca mediante l’esercizio della clausola di tutela. In base a quest’ultima, i Paesi membri possono ripristinare i controlli alle frontiere interne per un determinato periodo di tempo nel caso in cui si verifichi una “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o ci siano “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne” che potrebbero mettere in pericolo “il funzionamento generale dello spazio Schengen”.
Schengen: cosa sta succedendo?
Al momento Danimarca, Francia, Germania, Austria, Norvegia e Svezia hanno introdotto controlli di emergenza alle frontiere (che non sono comunque state chiuse né è stato sospeso il trattato). Da maggio in poi però saranno costrette a ripristinare i controlli casuali in vigore in precedenza perché scadrà il tempo limite previsto dalla legge. La colpa di quanto sta accadendo, secondo loro, è tutta della Grecia, incapace di fermare gli arrivi e vigilare su chi entra e chi esce, soprattutto attraverso la rotta balcanica.
I numeri parlano di 900mila persone nel 2015 e 40mila a gennaio 2016. Da qui l’aut aut: o Tsipras riuscirà entro tre mesi a riprendere il controllo delle frontiere esterne, registrando i richiedenti asilo che arrivano dalla Turchia, oppure la penisola ellenica verrà isolata, chiusa all’interno di confini che rischieranno di strozzarla, creando una vera e propria crisi umanitaria. Peccato che ieri il problema fosse l’Italia senza hot spot e che domani potrebbe essere la Spagna a causa degli arrivi dal Marocco o di nuovo noi per i disperati che scappano dalla Libia. Per gli Stati del centro Europa la cosa più importante sembra essere quella di dare la colpa a qualcuno, al “bersaglio facile del momento”, invece di rendersi conto che forse ci sono dei problemi da affrontare fuori dai propri confini di Schengen.
In ogni caso a breve arriverà l’ennesima bocciatura della Grecia da parte della Commissione Europea. A quel punto, gli ellenici riceveranno delle raccomandazioni su cosa fare per ripristinare i controlli e dei soldi per metterli in pratica. Se e quando arriverà la scadenza prevista tutto sarà tornato nella norma (più facile a dirsi che a farsi) Schengen sopravviverà. In caso contrario le frontiere rischiano di rimanere chiuse per due anni, secondo quanto previsto dall’articolo 26 del trattato.
Il Piano Juncker
Il 25 gennaio i ventotto ministri degli Interni dell’UE si sono riuniti ad Amsterdam per cercare di trovare una soluzione prima che sia troppo tardi. Il risultato potrebbe essere riassunto così: tante belle parole, nessun fatto.
Le speranze adesso vengono riposte nel piano che Juncker presenterà a febbraio allo scopo di superare le regole di Dublino che prevedono l’obbligo di gestione del migrante (ed eventuale asilo) del Paese che per primo lo accoglie. Con le nuove regole i Paesi membri potranno “riallocare” i migranti. Chi arriverà sarà registrato negli hotspot presenti nel territorio di arrivo e successivamente smistarli in uno degli altri Stati. Verrano previsti dei criteri rigidi basati su PIL, popolazione e disoccupazione che obbligheranno questi Stati ad accoglierli, a gestire le richieste d’asilo e a decidere per un eventuale rimpatrio. Il rifugiato non potrà più scegliere in quale Paese trasferirsi, a meno che non si tratti di un ricongiungimento familiare.
Schengen: i rischi per l’Italia
Tralasciando il disastro economico che si potrebbe creare per tutti, nel caso in cui non si riuscisse a trovare un accordo e Schengen venisse sospeso, i rischi sarebbero molto alti. A pagare le conseguenze maggiori sarebbero i tre principali Paesi di primo arrivo: Grecia, Spagna e ovviamente Italia.
Perché se gli Stati del centro Europa hanno la possibilità di ripristinare le frontiere terrestri cancellate trent’anni fa, noi cosa dovremmo fare? Chiudere il Mediterraneo? Piazzare navi della guardia costiera davanti alle nostre coste pronte a sparare al primo barcone avvistato, ammazzando migranti e sciacalli insieme?
Ma c’è di più, perché una volta arrivati in Italia i migranti saranno “prigionieri nel nostro Paese”. Il che significa in altre parole che dovremmo (e stavolta davvero) sobbarcarci noi tutto l’onere mentre l’Europa che si gira dall’altra parte con nonchalance. Da punto di primo arrivo a punto d’arrivo e basta.
La chiusura delle frontiere agognata da alcuni dei nostri leader potrebbe diventare il peggior incubo per l’Italia. Nel 2015 sono arrivati più di 150 mila migranti, gran parte dei quali hanno proseguito verso gli altri Paesi europei. Con i confini chiusi, la redistribuzione non esisterà più.
Ma c’è di peggio. Perché alla sospensione di Schengen per due anni da parte delle sei Nazioni sopra indicate, si aggiunge il pericolo che altri Paesi si uniscano chiudendo anche la rotta balcanica. A quel punto l’unica via d’accesso sarebbe il mare. Traduzione: centinaia di migliaia di persone in più in arrivo, senza contare che l’emergenza libica avrà senza dubbio delle forti ripercussioni sulla tendenza migratoria verso il nostro Paese.
I populisti stanno vincendo, Schengen rischia di saltare e le tanto agognate frontiere potrebbero tornare a breve in tutta Europa. Se ciò avvenisse, le conseguenze per l’Italia sarebbero quelle appena descritte se non peggio. Forse prima di lasciarsi andare al razzismo e al populismo, alcuni zelanti leader politici dovrebbero pensarci due volte.
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