Donald Trump è il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il miliardario originario di New York con i sui toni accesi e il comportamento sopra le righe è riuscito ad arrivare direttamente alla pancia degli americani, parlando alle ansie economiche dei cittadini. Le sue ricette semplicistiche e spesso demagogiche hanno risuonato con forza in lungo e in largo negli Stati Uniti, in modo particolare negli Stati in cui il declino industriale ed economico è stato più forte e la ripresa più flebile, portando The Donald dritto alla Casa Bianca.
Nel discorso subito dopo l’incoronamento Donald Trump ha usato toni più concilianti rispetto a quelli utilizzati negli ultimi mesi per raccogliere i consensi degli americani, ma ha comunque ribadito la sua ricetta economica: “Raddoppieremo la crescita, avremo la più grande economia del mondo e rapporti proficui con tutte le nazioni”.
“Non ci accontenteremo di compromessi al ribasso – precisa il neo presidente – dobbiamo riconquistare il nostro destino, dobbiamo essere ambiziosi, dobbiamo sognare cose meravigliose per il nostro Paese”. E rivolgendosi alla comunità internazionale ha detto: “Noi porremo i nostri interessi in prima posizione, ma agiremo in modo onesto con tutti, cercheremo partenariati e non contrasti”.
Vediamo meglio quali sono le posizioni del Tycoon sui temi centrali dell’economia, come la crescita, gli investimenti, la pressione fiscale, il commercio, l’immigrazione e la spesa pubblica.
Ricetta fiscale e deregulation per spingere la crescita
Pilastro portante della ricetta economica di Trump è la modifica delle aliquote fiscali volta ad un netta riduzione della pressione, soprattutto per le grandi aziende. Con Trump presidente le aliquote passeranno da 7 a 3: la massima calerà dal 39,6% attuale al 33% e quella per le aziende sarà ridotta dal 35% al 15%.
Secondo il Tycoon, la riforma del sistema fiscale, insieme ad una robusta deregulation per cancellare circa il 70% delle norme, dall’ambiente alla finanza, sarebbe in grado di raddoppiare la crescita del PIL degli Stati Uniti che così passerà del 2 al 4%. A beneficiare maggiormente di questa ipotesi sono le grandi aziende del Paese e coloro che hanno redditi più alti, a scapito però delle casse pubbliche.
Secondo le stime del Tax Policy Center un taglio così drastico della tassazione su cittadini e imprese comporterà minori entrate per le casse dello Stato pari a circa 7.200 miliardi in 10 anni e 21mila miliardi negli anni successivi con il rischio di veder schizzare il deficit del Paese o di dover tagliare su capitoli di spese come istruzione, ricerca e welfare.
Investimenti in infrastrutture
L’unico punto di contatto tra i due candidati alla Casa Banca era la necessità di fare investimenti consistenti sulle infrastrutture degli USA: dai ponti alle ferrovie, passando per le strade del Paese.
Hillary Clinton ha proposto un piano dettagliato che prevedeva investimenti pari al 2% del PIL l’anno, circa 360 miliardi provenienti in gran parte dalla nuova tassa sui super ricchi. Trump non ha mai spiegato nel dettaglio la sua ricetta per le infrastrutture, ma ha promesso di “raddoppiare” la spesa ipotizzata dalla sua rivale. Tali investimenti, che quindi sarebbero nell’ordine del 4% del PIL USA all’anno, saranno garantiti da risparmi su altri programmi federali, riduzione di sprechi, grandi tagli delle tasse ed eventuali emissioni obbligazionarie.
Stop all’immigrazione e modifiche ai trattati commerciali
La posizione di Trump sull’immigrazione è molto netta: i cittadini degli Stati Uniti vengono prima di tutto e devono essere tutelati dall’immigrazione di massa. La ricetta vincente si basa su una difesa agguerrita dei confini, con tanto di costruzione di un muro con il Messico, e la deportazione di 11 milioni di immigrati illegali presenti negli Stati Uniti. Questa è la ricetta proposta in campagna elettorale, ma verrà inevitabilmente ridimensionata in qualche modo.
Ma la retorica di Trump si basa anche su un altro importante pilastro: il protezionismo commerciale. “Sconfiggeremo la Cina sul commercio, sconfiggeremo il Giappone e il Messico” ha promesso Trump nel corso della campagna elettorale. In generale Trump si è detto contrario ad una maggior liberalizzazione degli scambi commerciali e soprattutto ai trattati o accordi internazionale su cui l’amministrazione Obama stava negoziando. Con Trump alla presidenza, il TTIP, il trattato commerciale per la liberalizzazione degli scambio tra USA e Unione europea è destinato a finire su un binario morto. Il neo presidente ha più volte ribadito la necessità di rinegoziare i trattati commerciali, per esempio con il Messico, per tutelare maggiormente il business delle imprese USA e penalizzare con forza le aziende che spostano le loro produzione fuori dai confini degli Stati Uniti. Trump ha promesso di cancellare il North American Free Trade Agreement (NAFTA) di Bill Clinton e il Trans Pacific Partnership (TPP), l’accordo commerciale con Paesi quali il Giappone, la Malesia, Singapore, il Vietnam.
Il neo presidente sostiene la necessità di introdurre dazi doganali e restrizioni degli scambi per favorire la produzione interna. Particolarmente accanita l’offensiva contro i prodotti cinesi. Il miliardario ha definito il disavanzo tra import ed export con la Cina, pari a 366 miliardi nel 2015, “il più grande furto nella storia del mondo” ed ha più volte ipotizzato l’introduzione di pesanti dazi sui prodotti provenienti dalla Cina.
Questa prospettiva rappresenta un fattore di rischio per le società o le attività americane che dipendono o sono in qualche modo legate alle importazioni, ma anche un’opportunità di sviluppo per i settori produttivi nazionali che subiscono il crescente peso della concorrenza cinese sul mercato interno e internazionale.
Più spese per la difesa e meno tutele per l’ambiente
Le multinazionali nell’era di Donald Trump presidente avranno sempre ragione, anche quando in ballo c’è la tutela dell’ambiente. Trump ha intenzione, come già detto, di ridurre notevolmente le regole, in modo particolare quelle che tengono le mani legate alle grandi imprese, e di conseguenza causerà disastri ambientali.
Il Tycoon è da sempre molto scettico sui cambiamenti climatici e promette di cancellare molte norme a tutela dell’ambiente considerate troppo gravose e oppressive per le imprese USA. L’avversità nei confronti delle normative ambientali va incontro ai grandi produttori USA di combustibili fossili, il comparto del carbone e delle raffinerie, mentre è un duro colpo per le aziende che lavorano con le energie pulite.
Il presidente arancione alla Casa Bianca comporterà novità anche per le spese militari. Sostenitore dell’interventismo militare, Trump ha promesso il raddoppio delle spese USA destinate alla difesa e al comparto militare: la spesa pubblica passerà dal 3 al 6% del PIL statunitense. Una bella notizia per i produttori di armi e attrezzature militari.
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