Donald Trump sta disegnando la nuova amministrazione degli Stati Uniti d’America. C’è andirivieni di personaggi più o meno noti alla sua corte e filtrano indiscrezioni più o meno probabili circa futuri incarichi e incaricati.
Colpisce che tra gli invitati a tale corte ci sia anche Henry Kissinger. Il grande vecchio della politica americana è da sempre interlocutore dei potenti di Washington, anche se i neocon hanno fatto di tutto per relegarlo in un angolo, dal momento che il suo realismo politico, seppur a volte spietato, lo reso inviso ai loro occhi, preda di visioni oniriche votate alla dissoluzione creatrice.
Val la pena riportare alcune parole che il grande vecchio spese sulla crisi ucraina: «Troppo spesso la questione ucraina viene vista come una resa dei conti, la scelta tra Est e Ovest. Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare non deve diventare l’avamposto di una parte contro l’altra, ma fare da ponte tra le due».
Trump è, almeno al momento, fautore di un nuovo dialogo tra Russia e Occidente. Un dialogo che dovrà necessariamente passare per due direttrici: la crisi siriana e quella ucraina. Da questo punto di vista l’invito di Kissinger appare simbolico: grande conoscitore dell’Europa, il grande vecchio della politica americana è l’uomo più adatto a indicare al nuovo presidente prospettive di distensione per l’Ucraina.
Non sappiamo se le sue idee saranno recepite, ma certo occorrerà trovare un compromesso tra le varie spinte confliggenti che dilaniano Kiev, un modus vivendi tra le esigenze di sicurezza russe e le aspirazioni nazionali(ste) ucraine.
Detto questo val la pena accennare che lo scombussolamento Trump più aver effetto sull’Ucraina anche sotto un altro profilo. La sua vittoria, infatti, rinvigorisce le forze politiche europee, come la Le Pen, che contestano l’attuale assetto del Vecchio continente, consegnato all’egemonia tedesca.
Tali forze potrebbero sia spingere l’Unione europea verso una riforma, sia portare al suo dissolvimento. In quest’ultimo caso la spinta verso l’adesione alla Ue, usata come un maglio dai ribelli di Maidan per staccare l’Ucraina dalla Russia, andrebbe necessariamente a decadere.
Nel primo caso, invece, è possibile che tra i punti di una possibile riforma vi sia lo status associativo dei Paesi dell’Est, la cui adesione al vincolo Ue è stata usata da diverse forze contrarie all’Unione per dissolverla (anzitutto dalla Gran Bretagna, oggi fuori dalla Ue).
In entrambi i casi, un (eventuale) nuovo vento europeo porrebbe nuove condizioni con le quali le forze che hanno dato vita alla rivolta, o colpo di Stato, di piazza Maidan, dovranno necessariamente confrontarsi.
Insomma, sia che Trump accolga suggerimenti di Kissinger sia che non lo faccia, la sua vittoria sembra destinata ad avere effetti sull’Ucraina.
Se si considera che ormai l’Ucraina è uno Stato fallito, tale la condizione nella quale l’ha precipitata il nuovo corso post-Maidan, le prospettive che hanno davanti i dirigenti di Kiev sono alquanto oscure.
Non per nulla sono rimasti ghiacciati dalla vittoria di Trump. Anche queste circostanze potrebbero favorire un compromesso distensivo tra Kiev e Mosca.
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