ROMA – Abbassare i tetti, aumentare controlli e sanzioni. Il governo è pronto a una stretta sui voucher, i ticket da dieci euro lordi nati per pagare i lavoretti, diventati dopo la liberalizzazione normativa il simbolo della nuova precarietà e della protesta contro le politiche del lavoro dell’esecutivo Renzi. I margini per intervenire non sono molti, a meno di smontare lo strumento. Ma qualcosa si deve pur fare, ragionano a Palazzo Chigi.
La ripresa non decolla, i disoccupati non schiodano da quota tre milioni, mentre i buoni lavoro si impennano a 121 milioni venduti in ottobre, nuovo record. Non solo. Dal primo gennaio vanno in archivio l’indennità di mobilità, la cassa integrazione in deroga e pure la Discoll, l’ammortizzatore per i collaboratori. Reti importanti di protezione, specie la prima. Che la Naspi, il sussidio unico, potrebbe non soppiantare del tutto, di fronte ai licenziamenti collettivi del settore industriale. Il mercato del lavoro ha dunque bisogno di un segnale urgente. Prima che siano le urne a darlo, con i tre referendum promossi dalla Cgil (ritorno all’articolo 18, abolizione dei voucher, corresponsabilità negli appalti) e sulla cui ammissibilità si esprimerà la Corte Costituzionale.
La parola d’ordine a Palazzo Chigi in queste ore è “attendere”. Aspettare cioè il primo (imminente) monitoraggio sulla tracciabilità dei ticket. E la decisione della Consulta dell’11 gennaio. Le tabelle Inps vengono giudicate essenziali per capire se l’obbligo (da ottobre) per il datore di lavoro di mandare l’sms o la mail un’ora prima di impiegare il voucherista funziona da deterrente o no. Senza il conforto di numeri calanti, il ministro del Lavoro Poletti si dice pronto a “rideterminare dal punto di vista normativo il confine del loro uso”. Ma sarà solo la pronuncia della Corte a stabilire quanto in profondità incidere. Di fronte all’ammissibilità di tutti i quesiti, la questione dei voucher sembrerà poca cosa rispetto alla possibilità che crolli l’intero Jobs Act. Ma se, come pronostica il governo, dovesse passare solo la richiesta di abolire i voucher, a quel punto una modifica sui ticket diverrebbe obbligata. Si vedrà come. Riportando il tetto massimo di introiti per il lavoratore a 5 mila euro (da 7 mila) o più basso. Inasprendo i controlli mirati, per stanare i datori che rimpiazzano i contratti con i buoni. Aumentando le sanzioni pecuniarie. Soluzioni tutte plausibili, ma bifronti (rischio impennata del nero) se non ben calibrate.
La fine della mobilità – prevista dalla Fornero e confermata dal Jobs Act – viene vista con allarme dai sindacati. La Uil calcola in 185 mila i lavoratori attualmente in mobilità che nel 2017 non entreranno nella lista speciale che da 25 anni consente ricollocazioni agevolate. Insieme allo strumento, spariscono infatti pure gli sconti contributivi riservati alle imprese che assumono lavoratori in mobilità. Cosa ne sarà di loro? “Riceveranno la Naspi, più generosa nella maggioranza dei casi della mobilità”, assicura Stefano Sacchi, presidente Inapp, l’ex Isfol. “Le aziende poi risparmieranno sul costo del lavoro, perché non dovranno più versare lo 0,30% per la mobilità, circa 600 milioni”. Ma “alle imprese a quel punto converrà licenziare sempre, così risparmiano pure sul ticket per la cassa integrazione, nel frattempo raddoppiato: è un meccanismo infernale”, avverte Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. Ci sarebbe l’assegno di ricollocazione che scatta dopo quattro mesi di Naspi. “Le prime 30 mila lettere partiranno a gennaio”, conferma Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. “Entro il 2017 puntiamo a contattare tutti i lavoratori – circa 900 mila – con i requisiti. Le politiche attive sono l’unico modo per scongiurare impatti negativi dalla fine della mobilità”.
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