Il foglio è un promemoria durante gli interrogatori del pentito Mannoia. Risale al 1989, c’è anche un riferimento all’avvocato Vito Guarrasi
«Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni ai Grado e anche a Vittorio Mangano». La grafia è quella di Giovanni Falcone. Elegante, ordinata. Su un foglio di block notes a quadretti ha messo in fila alcuni appunti durante l’audizione del pentito Francesco Marino Mannoia. E’ il 6 novembre 1989. Il giudice ha sottolineato due volte il cognome Berlusconi, all’epoca già al culmine della sua carriera; una volta, il nome di Vittorio Mangano, lo stalliere boss della villa di Arcore. Il cognome di un altro mafioso, Cinà, compare anche una seconda volta nella pagina, cerchiato. Questi nomi non sono mai finiti nei verbali di Mannoia, che si è sempre rifiutato di fare dichiarazioni ufficiali su Silvio Berlusconi.
L’appunto è stato ritrovato alcuni giorni fa nell’ufficio-museo del giudice dal suo ex collaboratore Giovanni Paparcuri. “Il dottore Falcone prendeva degli appunti prima di verbalizzare – ha spiegato l’ispettore Maurizio Ortolan, che in quei giorni dell’89 batteva a macchina le dichiarazioni del pentito Mannoia – quando poi dettava, tagliava gli argomenti affrontati. Questo foglio, l’avrà dimenticato o lasciato in ufficio a futura memoria?”.
Le parole annotate da Falcone fra altri argomenti di mafia appaiono oggi come una conferma postuma della condanna di Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Berlusconi che sta scontando 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. «Cinà» citato dovrebbe essere Gaetano Cinà, il mafioso molto amico dell’ex senatore di Fi, che gli annunciava al telefono (conversazione intercettata nel 1986) l’arrivo di una grande cassata con il simbolo del biscione a casa Berlusconi. Gaetano Grado è uno dei boss palermitani che più frequentava Milano negli anni Settanta. Secondo la sentenza Dell’Utri, Berlusconi avrebbe stipulato con la mafia un “patto di protezione”, nel 1974: prima, per evitare i sequestri che impazzavano su Milano, poi per «mettere a posto» i ripetitori Tv in Sicilia. E proprio questo sembra confermare l’appunto ritrovato di Falcone quando si parla di soldi che Berlusconi avrebbe dato ai mafiosi.
In un secondo foglio, Falcone annotava il nome di Vito Guarrasi, anche questo mai citato nei verbali ufficiali di Mannoia. Un altro mistero. Cosa sa il pentito Mannoia di Guarrasi, il potente avvocato di tanti affari siciliani che già negli anni Settanta era finito all’attenzione della commissione parlamentare antimafia? Guarrasi è morto il 31 luglio 1999, all’età di 85 anni. Di lui, scriveva Giuseppe D’Avanzo: «Se la memoria fosse una qualità e non un vizio dovremmo chiederci se c’è ancora e dov’è oggi Vito Guarrasi. Se ci sono, e dove, i nodi che ancora stringono la politica, l’economia, la mafia. Perché un fatto è certo, la mafia può fare a meno dei Corleonesi, dei Lima e dei Ciancimino, dei cugini Salvo, ma non può privarsi della spregiudicata e cinica sapienza dei Guarrasi».
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