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Boko Haram: responsabilità e interessi occidentali dietro il gruppo del terrore?

By   /  12 Maggio 2014  /  No Comments

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Nonostante l’indignazione, l’organizzazione islamista Boko Haram continua a mietere vittime. Lunedì 5 maggio, infatti, circa 300 persone hanno perso la vita in un attacco avvenuto nel Nord-Est della Nigeria. Delle 276 studentesse rapite il 14 aprile nel villaggio di Chibok, sembra non si abbia più notizia. Il 30 aprile centinaia di nigeriani sono scesi per le strade di Abuja, la capitale, oltre che nella città settentrionale di Kano nel tentativo di scuotere il governo dal torpore dell’immobilità. Sui social network lo hashtag è chiaro e netto: #BringBackOurGirls, è così che il mondo sta chiedendo che le ragazze vengano rilasciate. L’appello lanciato dall’attivista pachistana Malala Yousazfai, sostenuto anche dalla First Lady Michelle Obama, sta raccogliendo proseliti in tutto il Mondo.

 

Il governo nigeriano ha risposto in modo poco efficace all’ondata di violenze che sta attraversando il paese. Il Presidente Goodluck Jonathan è rimasto in un silenzio assordante dopo il rapimento delle ragazze, provocando indignazione e rabbia in un popolo ormai stanco di vivere nella paura. “Abbiamo paura di questi terroristi”, scrive Kyari Mohammed, professore alla Modibbo Adama University of Technology, tra le pagine di The Conversation.

 

Mentre però ci si affretta a condannare un governo paralizzato dalla furia di terrore scatenata da questa spietata organizzazione criminale, sconosciuta ai più fino a poco tempo fa, nessuno pone la giusta attenzione alle radici di questa sanguinosa crisi.

 

Boko Haram nasce nel 2002 a Maiduguri, capitale dello stato del Borno nel Nord-Est del paese per mano dell’Iman islamico Mohammed Yosuf, con l’intento di stabilire una Repubblica islamica in Nigeria che comprendesse anche un sistema giudiziario basato sulla sharia. Boko Haram, ovvero Pidgin, significa “l’educazione occidentale è un peccato”.

 

Fino al 2009 i Boko Haram, erano un movimento islamico che voleva colmare il vuoto creato dall’assenza sociale dei partiti progressisti, senza alcun intento violento e senza alcuna intenzione di voler rovesciare il governo. L’escalation di violenza è iniziata nel 2010, in seguito alla cattura e all’uccisione del leader spirituale Yusuf. La via del terrore intrapresa dal successore Abubakar Shekau, prendendo di mira, forze dell’ordine, politici, semplici cittadini e leader tradizionali, secondo il Crisis Group, ha causato la morte di 4mila persone in soli 4 anni e migliaia di sfollati.

 

“Lemergere dei Boko Haram rappresenta la maturazione degli impulsi estremisti presenti nella profonda realtà sociale del Nord della Nigeria”, scrive l’analista nigeriano Chris Ngwodo. “Ma il gruppo è di per sé una conseguenza e non una causa, un sintomo di decenni di fallimenti governativi e delinquenza nell’elite, tramutatisi nel caos sociale”.

 

Boko Haram ha sfruttato la crescente disaffezione per promuovere l’idea di uno stato islamico giusto ed equo.

 

Nonostante il paese africano grazie ad una crescita formidabile si sia trasformato nel paese più ricco del continente con un fatturato di 509 miliardi di dollari, superando anche il Sud Africa fermo a 354 miliardi, le contraddizioni interne permangono. La Nigeria infatti, una federazione di 36 stati e circa 350 gruppi etnici, divisi quasi equamente tra musulmani e cristiani, si presenta come una compagine eterogenea dalle incertezze profonde: primo produttore di petrolio al mondo, ma allo stesso tempo dilaniato da instabilità politica e corruzione, fenomeni che favoriscono l’avanzata dei gruppi estremisti come i Boko Haram.

 

La Nigeria ha una popolazione tra le più povere al Mondo, scrivono Mohammed Aly Sergie e Toni Johnson su Council on Foreign Relations. Circa il 70% della popolazione vive con poco più di un dollaro al giorno. Le disparità economiche tra il Nord e il resto del paese sono estremamente profonde. Nel Nord, il 72% della popolazione vive in povertà, comparato al 27 % nel Sud del paese e il 35% nel Delta del Niger.

 

Come notato da David Francis, uno dei primi giornalisti occidentali ad occuparsi dei Boko Haram “La maggior parte dei Boko Haram non sono fanatici musulmani: sono bambini poveri, indottrinati e convinti da un leader carismatico ad andare contro il proprio paese”.

 

L’Occidente attratto dalle enormi riserve di petrolio nigeriano ha sempre chiuso un occhio di fronte all’emergere dei gruppi estremisti, creando ulteriori complicazioni e ponendo le basi per una degenerazione del fenomeno.

 

La sofisticazione degli armamenti accorsa dal 2010 in poi nello stesso gruppo islamico nigeriano, come affermato da diversi ufficiali statunitensi, si pensa sia dovuta ai forti legami stabiliti dai Boko Haram con il gruppo terroristico Al-Qaeda nel Maghreb (AQUIM), il quale opera nell’Africa Nord Occidentale, oltre che con la fazione di Al-Qaeda operante nella penisola araba.

 

Secondo il professor Jeremy Keenan, uno dei maggiori esperti sull’Algeria presso la scuola di Studi Orientali e Africani di Londra, l’espansione di AQUIM si è concentrata in tutto il Nord Africa ricco di petrolio, in regioni come l’Algeria, Delta del Niger, la Nigeria ed il Ciad, proprio dove i legami con gli occidentali ed in particolare con gli Stati Uniti sono più forti e dove esistono accordi di cooperazione contro il terrorismo.

 

Nell’ottica del professore inglese, il petrolio e l’avidità dei paesi occidentali, hanno spinto i loro governi a chiudere un occhio verso il ruolo interpretato da stati come l’Algeria nel promuovere il terrorismo regionale, anzi sfruttando il caos generato dalla paura di continui attentati per accaparrasi delle ultime riserve di petrolio.

 

D’accordo anche Nafeez Ahmed, che su The Guardian fa un’analisi ancor più approfondita, “Se questa analisi è corretta, allora le centinaia di ragazze innocenti rapite in Nigeria non sono solo le vittime del fanatismo islamico: sono anche le vittime delle nostre fallimentari politiche estere, economiche e di sicurezza, legate alla nostra dipendenza infernale dall’oro nero”.

Fonte: http://it.ibtimes.com

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