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“Borsellino spiato, il citofono azionò la bomba” La confessione shock di Riina

By   /  22 Luglio 2014  /  No Comments

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I nuovi verbali delle intercettazioni in carcere del boss corleonese in cui si parla della strage di via D’Amelio


PALERMO – “Da sua madre, alle cinque… gli ha telefonato”. Totò Riina pronuncia queste parole mentre mima con la mano il gesto del telefono avvicinato all’orecchio. Sta parlando di Paolo Borsellino con il suo compagno di cella Alberto Lorusso.

È il 29 agosto 2013. La conversazione è stata trascritta e adesso fa parte del fascicolo del processo sulla trattativa Stato-mafia. È una delle tante conversazioni del capo dei capi durante l’ora di passeggio nel carcere di Milano Opera. Qualcuno, dunque, spiava il magistrato assassinato in via D’Amelio. Una ipotesi più volte ventilata dagli investigatori e dai parenti più cari del magistrato e che ora trova conferme nella “confessione” in diretta del boss. Che ammette di essere stato lui l’ideatore della strage e racconta che per fare saltare in aria il magistrato e gli uomini della sua scorta, il 19 luglio 1992, fu utilizzato un congegno attivato dal dito del giudice che bussò al citofono della madre.

Ecco i passaggi agghiaccianti del dialogo. Prima Riina se la prende con Rita Borsellino: “Figlia di puttana, una disgraziata è stata la sorella, la vedi inviperita, la vedo nel telegiornale quanto è inviperita gran disgraziata, non ha digerito la morte di questo suo fratello che ci ha suonato il campanello a sua madre. Glielo voleva suonare a sua madre”. “Sua madre”, ripete ridendo. “Ma che suoni?… abbiamo cominciato a comprare questi telecomandi… due, tre quattro di riserva sempre li avevano”. Poi prosegue: “Minchia queste del campanello però è un fenomeno… perché questa… questa volta il Signore l’ha fatta e basta. L’ho visto una volta e non è venuto più… ma insomma che vai a mettere là… poi… arriva suona e scoppia tutto… ma mannaggia… ma vai a capire che razza di fortuna. Però sapevamo dove dovevo andare perché lui gli ha detto… domani mamma vengo. Alle cinque mi sono andato a mettere là… ma che dici… alle cinque domani? (ride) conviene che glielo mettete”.

Riina aveva concluso la caccia all’uomo: “… era un potentoso magistrato... come Falcone… perché erano amici, avevano fatto carriera assieme, erano amici… l’ho cercato una vita a Marsala… minchia mai mi è arrivata una notizia di agganciare a questo”. Poi fa riferimento ad un amico romano: “Perché ce l’aveva, ce l’avevamo uno a Roma… perché … ed allora dice tutti e due? Però a quello l’ho ingagghiutu così, a quello ero, così sempre arrabbiato che l’avevo cercato una vita. E non l’avevo potuto ingagghiari mai… mi arrivavano notizie che era qua in villeggiatura a Cinisi che si andava comprare il giornale. Ogni volta che mi arrivava la notizia che andava a comprare il giornale… ma porca la… che razza… minchia mi faceva fare bile… una vita ci ho combattuto… là a Marsala… due tre anni che ci combattevo”. Infine, la svolta: “ Poi quello senza volerlo… ma che mi dice… disse… dice… da sua madre alle cinque… gli ha telefonato… ba nene, sta bene… corre, corre, corre, corre… troppo bello. Piglia corri e gliela metti… pigliala pigliala mettitigli un altro sacco… un sacco in più”.

“Minchia – racconta ancora Riina – lui va a suonare a sua madre dove gli abbiamo messo la bomba. Lui va a suonare e si spara la bomba lui stesso. E’ troppo forte questa”.
Fonte: livesicilia
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