Illegittima la decisione del governo Monti di prescrivere le lire ancora in circolazione. In questo modo agli italiani sono stati espropriati ben 1,5 miliardi di euro
Dalle tasche degli italiani sono spariti 1,5 miliardi di euro. Non tanto volatilizzati, quanto espropriati.
Che, poi, è un modo giuridico per dire sottratti, rubati. E dietro a questo colossale esproprio di Stato c’è Mario Monti in perdona. Il Professore, catapultato a Palazzo Chigi dai poteri forti dell’Unione europea, ha fatto una leggina per mettere, un giorno con l’altro, al bando tutte le lire in circolazione. Come se non gli bastassero le tasse, le imposte e i balzelli che si è inventato per far piangere gli italici contribuenti, l’allora premier s’era inventato un decreto (uno dei tanti) per far sparire svariati miliardi di lire “a favore dell’Erario”.
Il giudice del tribunale di Milano, Guido Vannicelli, ha ritenuto illegittimo l’articolo 26 del decreto legge 121 con cui, in deroga alla legge del 2002, il governo Monti ha prescritto (“con decorrenza immediata”) le lire ancora in circolazione “a favore dell’Erario”. In base al dl del 6 dicembre 2001, infatti, il relativo controvalore delle lire è stato “versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnato al fondo per l’ammortamento dei titoli di stato”. Una mossa architettata ad arte da Monti per anticipare di circa un trimestre la scadenza ultima del cambio lire-euro. Un trucchetto che ha fruttato alle casse dello Stato un bottino di oltre un miliardo e mezzo. Come spiega Vannicelli all’Espresso, Monti avrebbe “violato il principio di affidamento e di certezza del diritto”. Una violazione che il giudice milanese non fatica a identificare come un vero e proprio “esproprio” ai danni di tutti quei cittadini che tenevano ancora sotto il materasso (per affezione o per sbadataggine) qualche lire. Un esproprio di Stato, per di più, perché il corrispettivo di un miliardo e mezzo di euro è finito dritto dritto nelle fauci fameliche dell’Erario.
Sulle accuse (pesantissime) mosse da Vannicelli dovrà pronunciarsi la Corte costituzionale. Niente è scontato. Anticipando con una leggina ad hoc i termini dell’incasso, il governo italiano ha infatti violato gli articoli 3 e 97 della Costituzione, cioè il principio di affidamento e di certezza del diritto. A questo punto, se i termini del cambio lire-euro dovessero essere rivisti dalla Consulta, il Tesoro dovrà rendere ai contribuenti una discreta sommetta di denaro.
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