Ci sono molte aspettative per le prime terapie basate su una nuova strategia che sfrutta il sistema immunitario per combattere alcuni tipi di tumore del sangue. Non sono “farmaci” nel senso tradizionale del termine, ma trattamenti complessi, molto costosi e non adatti a tutti i pazienti. Ecco di che cosa si tratta.
La sigla CAR-T è di quelle che, sempre più di frequente, circola sui media in relazione a nuove terapie anti-cancro. Di recente, all’Istituto dei Tumori di Milano, un paziente cinquantenne affetto da linfoma è stato il primo in Italia a essere trattato con la terapia, dopo l’approvazione per l’immissione in commercio rilasciata l’anno scorso dall’EMA, l’Agenzia europea per i medicinali. Il paziente ha potuto ricevere la terapia all’interno di un programma definito per “uso compassionevole”, dato che si tratta di trattamenti molto complessi e costosi, per cui le agenzie sanitarie dei vari paesi, Italia compresa, stanno ancora decidendo per le regole di rimborso.
Che cos’è e come funziona questo “farmaco”? Ci aiuta a rispondere Sara Trifari, ricercatrice di MolMed, azienda biotecnologica nata come spin-off dell’ospedale San Raffaele di Milano e impegnata nello sviluppo di terapie geniche e cellulari, tra cui quelle a base di CAR-T.
CHE COSA SONO LE CAR-T. La sigla sta per Chimeric Antigens Receptor Cells-T: si tratta di cellule modificate in laboratorio a partire dai linfociti T, ovvero i globuli bianchi, le cellule del sistema immunitario che normalmente riconoscono e neutralizzano le minacce costituite da virus o cellule maligne, mantenendo anche nel tempo memoria della risposta agli attacchi. I tumori, in molti casi, riescono a eludere la risposta del sistema immunitario “mimetizzandosi”. In passato si era già visto che i linfociti T, prelevati dal corpo di pazienti ammalati di tumore, espansi di numero in provetta e infusi di nuovo al paziente, riuscivano a ridurre in modo anche considerevole la massa tumorale. I CAR-T sono i linfociti T ingegnerizzati, dotati di un sistema di riconoscimento mirato (il recettore chimerico) ad alcuni tipi di cellule tumorali.
COME FUNZIONA LA TERAPIA. Nella procedura standard i linfociti T del paziente vengono prelevati, modificati e fatti espandere, cioè aumentati di numero, in laboratorio. Infine vengono reintrodotti nel corpo del paziente, che nel frattempo è stato trattato con una forma di chemioterapia per eliminare le cellule del suo sistema immunitario e lasciare campo libero ai linfociti T modificati. La procedura è personalizzata, perché ad essere trattate sono le cellule di ogni singolo paziente (diversamente, ci sarebbero problemi di rigetto): passa circa un mese dal prelievo alla re-infusione delle cellule.
Si tratta di trattamenti nuovi, complessi ed estremamente costosi (fino ad alcune centinaia di migliaia di euro), e solo alcuni paesi europei hanno già negoziato un prezzo di rimborso con il proprio sistema sanitario nazionale, come la Gran Bretagna e la Germania, e un budget per un numero massimo di pazienti rimborsabile.
PER QUALI TUMORI È INDICATA. I migliori risultati sono stati finora ottenuti contro alcuni tumori del sangue, in particolare leucemie e linfomi di tipo B. Dall’anno scorso sono state approvate in Europa le prime terapie a base di CAR-T per la leucemia linfoblastica acuta a cellule B e per il linfoma B a grandi cellule.
La sperimentazione sull’uomo è in corso anche per altri tumori del sangue, come la leucemia mieloide acuta e il mieloma multiplo, ed è in fase pre-clinica per alcuni tumori solidi, tra cui quello della mammella, del pancreas, del polmone, del cervello, di testa e collo. Nel caso dei tumori solidi l’utilizzo di CAR-T pone particolari difficoltà perché, invece di muoversi nel sangue, le cellule devono agire all’interno della formazione tumorale, che spesso è per sua natura sfavorevole alla sopravvivenza e all’attività dei linfociti. Inoltre, le cellule tumorali sono spesso diverse ed eterogenee tra di loro, e non presentando tutte lo stesso antigene, possono non essere riconosciute dai CAR-T.
DOVE E PER CHI SONO DISPONIBILI LE TERAPIE. Le prime due terapie approvate in Europa, una di Novartis, l’altra di Gilead, sono indicate per i pazienti con caratteristiche specifiche della malattia, e per cui non ha funzionato nessuna delle altre terapie disponibili. Visti i costi elevati dei farmaci approvati e le regole ancora in corso di definizione nei singoli paesi, al momento l’unica reale possibilità di accesso per i pazienti alla terapia è attraverso una sperimentazione clinica o, come nel caso del paziente di Milano, un programma per uso compassionevole.
GLI EFFETTI COLLATERALI. Proprio perché la terapia è formata da cellule del sistema immunitario che sono state potenziate, uno dei rischi maggiori è la reazione eccessiva dell’organismo, che può produrre una risposta infiammatoria violenta e in alcuni casi molto grave.
DOVE PUNTA LA RICERCA.Le CAR-T approvate per i tumori del sangue utilizzano come bersaglio la proteina CD19, presente sulla maggior parte delle cellule di questi tipi di cancro.
Ma si punta a sfruttare altri possibili target, per esempio la proteina CD44v6, presente in altri tumori del sangue, come la leucemia mieloide acuta e il mieloma multiplo, e in diversi tumori solidi. MolMed ha ottenuto dall’AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) l’autorizzazione ad avviare in Italia la sperimentazione clinica sull’uomo del CAR-T CD44v6 che sfrutta questo bersaglio.
Un altro obiettivo è superare le enormi difficoltà logistiche e i costi dovuti alla produzione di terapie personalizzate per ogni singolo paziente. Uno degli approcci esplorati è quello dei farmaci di derivazione “allogenica”, cioè ottenuti a partire da cellule del sistema immunitario di donatori sani, e non del paziente stesso. In questo ambito, esplorato anche da MolMed, uno dei tentativi sfrutta i linfociti “natural killer”: queste cellule del sistema immunitario hanno una capacità intrinseca di riconoscere le cellule tumorali, ma nello stesso tempo non rischiano di causare la malattia del trapianto verso l’ospite (il rigetto), come invece le cellule T. Un altro vantaggio è che sono adatte allo sviluppo di una terapia standardizzata su scala più ampia, in modo da poter essere pronte all’uso per più pazienti, anche per quelli che non possono aspettare i tempi di produzione del proprio CAR-T personalizzato.
Fonte Focus
calatafimisegestanews
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