Non mi sto riferendo malinconicamente alla cupola formatasi con la triade Juventina… no, di questo ne hanno già parlato abbastanza i giornali e i 50 milioni ed oltre di abitanti del nostro bel-paese. Ogni volta che esco di casa, ogni volta che torno tra i colli calatafimesi, apprezzo ed ho tantissima voglia di salire su quel castello che mi apre gli occhi ad un bellissimo panorama, ad uno squarcio di mondo che amo tantissimo e per il quale sempre sarò affezionato. Ma è proprio da lì che parte il problema: ogni volta che vado lassù a contemplare il mio ormai compianto paradiso perduto il mio occhio non può far meno di svolgere lo sguardo a quell’edificio che si trova alla sinistra del tessuto urbano, dietro le quinte, fuori dal palcoscenico quasi dimenticato da tutto e da tutti. Si tratta della oramai vetusta chiesa del Carmine, certo come posizione non è per nulla male, facilmente raggiungibile dal corso Garibaldi e a due passi da Piazza Pietro Nocito, trovandosi proprio al termine di via Macaddino. Queste le parole del Notar Vito Pellegrino nel suo libro Calatafimi scoverto a’ moderni: “Il Convento del Carmine fu fabbricato nell’anno 1430, come per l’albero in pittura delli Conventi Carmelitani esistente nel Carmine di Palermo [..] il Pirri però nella sua <<Sicilia Sacra>> disse essersi fabbricato dall’anno 143 scordandosi il 0, e teneva otto frati, con onze cento cinquanta di rendita”. La facciata della chiesa troneggia sulla piazza circostante facendone da semplice ma dignitoso fondo scenico, la visuale dall’alto permette di appurare che l’interno dell’edificio è completamente distrutto lasciando spazio al verde che nel corso degli anni si è impossessato delle antiche macerie. La cosa più scandalosa è però l’ingresso: come può il portone di un tale edificio diventare un rozzo e antiestetico garage? Mistero… C’è poi un fatto che mi amareggia tantissimo, avevamo una bellissima cupola nel nostro paese (certo rimane sempre quella dell’USL se proprio vogliamo essere pignoli) che purtroppo non ho avuto mai il piacere di ammirare ma che riesco ad immaginare nella sua antica bellezza, magnificamente araba e di un color rosso come quelle della bellissima chiesa della Martorana a Palermo. Mi domando come si possa abbandonare un tale manufatto architettonico, ridurlo in queste condizioni, privarlo alla comunità e lasciarlo utilizzare a privati secondo i loro gusti ed esigenze. Gli studi architettonici sostengono che insito nelle chiese è una formidabile e tra le migliori composizioni spaziali che l’uomo abbia mai creato, sono dei veri e propri spazi polivalenti che possono svolgere qualsiasi funzione al servizio della comunità: basti pensare alle antiche basiliche romane dove si svolgevano le più disparate attività, dalle importanti assemblee cittadine a mercati o spazi di ritrovo o di semplice passeggio, erano in definitiva luoghi fulcro che hanno reso efficiente e hanno determinato l’antico successo della res pubblica romana. Mi auguro quindi che la comunità prenda atto della grave situazione e tenti il tutto per tutto per recuperare uno dei gioiellini disseminati nel nostro territorio, riproporlo nella sua magnificenza magari con una più efficace destinazione d’uso. Per concludere desidero lanciare un monito alla società, purtroppo i manufatti costruiti dall’uomo non sono indistruttibili, bisogna anzi prendersi tantissima cura di quei pochi capolavori architettonici che oltre che contenere la cultura del passato ci aiutano come fonte d’ispirazione nel presente per il futuro.
Una buona architettura aiuta nella formazione di una buona società.
Elio Gerbino
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