Ultimi fuochi dello scorso millennio, la crisi non si sapeva cosa fosse, Berlusconi aveva ipotecato l’Italia da un pezzo, il termine “globalizzazione” evocava solo presagi foschi, peraltro ancora confusi, e qualcuno si illudeva di potervisi ribellare. Si stava bene, però. Tutto sommato, si stava bene.
Non ricordo più se fosse una sera di aprile o maggio del 2000, fatto sta che non so chi aveva sbattuto in tv un programma che s’intitolava Alcatraz. L’età gioca brutti scherzi e così ora ne ho immagini vaghe, giusto una scena in cui la protagonista femminile Francesca Neri passeggiava su una spiaggia con un giubbotto di pelle. Ma non è questo il punto.
Il punto è che su Raidue, prima del telegiornale, piombava Jack Folla a raccontare senza peli sulla lingua un mondo che cambiava. Jack Folla, da un’invenzione di Diego Cugia, è il personaggio di un dj rinchiuso nel braccio della morte di Alcatraz, a dargli voce un doppiatore che si chiama Roberto Pedicini e ha una voce profonda e tormentata.
Ma, molto più che un personaggio, Jack Folla è la voce di una generazione intera che comincia a rendersi conto delle contraddizioni che affastellano il pianeta. Da una parte la diffusione del web ha accorciato le distanze tra i continenti, si aprono opportunità nuove di lavoro e di conoscenza, rimanere tutta la vita nel posto in cui si è nati non è più un’implicatura. D’altro canto però le disuguaglianze sociali sembrano aumentare, i ricchi sono sempre più ricchi e, intanto, tipo metà dell’umanità vive con meno di due dollari al giorno.
Insomma, mentre la nave prima craxiana e ormai berlusconiana va, mentre nessuno ha ancora preso coscienza dell’iceberg all’orizzonte, Jack Folla, nei suoi monologhi duri e commoventi insieme, racconta quella specie di cappa d’inquietudine che avvolge la nuova gioventù: a ben vedere, non sono altro che i primi segnali della fine di un progresso graduale ma fino ad allora inesorabile.
Dieci anni dopo impareremo a chiamarla disoccupazione giovanile al 40%, precariato diffuso, sentirsi in difetto se non si sono inviati quarantatre curriculum al giorno. In una parola sola, crisi.
Alcatraz su Raidue prima del tiggì durò pochissimo, lo sospesero per via degli ascolti bassi. A quell’ora, il pubblico magari stava già aspettando le veline. Fosse per il telespettatore medio, probabilmente manderebbero solo trasmissioni di gnocche che ballano sui tavoli.
Per fortuna però c’era anche Radiodue, dove il programma divenne un cult. Dalla sua cella tre metri per due, Jack Folla attaccava il liberismo selvaggio di Wall Street e la guerra in Afghanistan, raccontava la storia di Georgiana Masi e si scagliava contro i fascisti, ricordava gli ultimi, i disperati, e massacrava i primi, i privilegiati. Il tutto, intervallato da quella che chiamava la “musica della sua vita”, e dentro ci trovavi da Mozart ai Police, dai Sex Pistols a Battiato, da Maria Callas a George Gershwin.
Di Jack ci restano oggi due libri e gli articoli che scrisse su L’Unità, ma soprattutto dei monologhi su Youtube tutti da ascoltare, agli uomini consiglio questo e alle donne quest’altro, ripreso poi (aaah!) da Fabio Volo.
Come avresti detto tu, ciao fratellino Jack, e grazie per avermi insegnato che “un uomo solo che guarda il muro è un uomo solo. Due uomini che guardano il muro è il principio di un’evasione”. Io sono stato fortunato, i ragazzi di oggi hanno solo Lucignolo, la tua copia riuscita male.
Vito Aguanno
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