l presidente del Consiglio ha riunito il Cdm per comunicare l’intenzione di dimettersi. “Ringrazio l’intera squadra di governo, ogni singolo ministro, per ogni giorno di questi mesi insieme”, ha detto. Poi è salito al Quirinale per rassegnarle al capo dello Stato. I ministri di Pd, M5s e Leu confermano il loro sostegno al capo dell’esecutivo. Franceschini: “Salvare questa alleanza riformista”. Di Maio: “Crisi senza senso, ora momento della verità”. Il centrodestra, intanto, chiede di essere ricevuto con un’unica delegazione durante le consultazioni
Una settimana dopo aver ottenuto la fiducia delle Camere, Giuseppe Conte è salito al Colle per dimettersi da presidente del Consiglio. La crisi politica è ufficialmente aperta ed è ora in mano a Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica ha accettato la dimissioni del premier ma con riserva: aspetta, cioè, di capire cosa uscirà fuori dalle consultazioni, che cominceranno al Colle domani pomeriggio. Il conto alla rovescia per tentare di varare un Conte ter è ufficialmente partito. Nelle prossime 24/48 ore dovranno palesarsi i 10/15 senatori responsabili, che servono a tenere in piedi la maggioranza senza il sostegno d’Italia viva. In caso contrario bisognerà sondare se esistono margini di manovra per ricucire con Matteo Renzi. Se questi due tentativi dovessero dare esito negativo, tramonterebbe l’ipotesi di un terzo governo presieduto da Conte. E le elezioni anticipate sarebbero più vicine, molto più vicine. Ma andiamo con ordine.
L’ultima giornata del Conte 2 – L’ultima giornata del governo Conte 2 è cominciata alle 9 e 25 quando a Palazzo Chigi ha avuto inizio il Consiglio dei ministri. “Ringrazio l’intera squadra di governo, ogni singolo ministro, per ogni giorno di questi mesi insieme”, ha detto Conte, comunicando le sue intenzioni. I capi delegazione delle forze di maggioranza, Alfonso Bonafede del M5S, Dario Franceschini del Pd e Roberto Speranza di Leu, hanno rinnovato al premier “sostegno e compattezza”. “Abbiamo affrontato la pandemia e una delle fasi più difficili della storia repubblicana al meglio delle nostre capacità e crediamo con molti risultati positivi, grazie alla guida del presidente Conte e al sostegno delle nostre forze politiche. Questo cammino ci consente oggi di pensare a questa maggioranza anche in prospettiva, come una area di forze riformiste alleate non solo temporaneamente. Per questo è fondamentale salvare questa prospettiva anche nel percorso della crisi che abbiamo davanti”, ha detto il ministro dei Beni Culturali. “Questo governo si è trovato ad attraversare una fase di straordinaria difficoltà come quella determinata dalla pandemia. Abbiamo lavorato per i cittadini con impegno e abbiamo raggiunto una compattezza che all’inizio di questo percorso non avremmo immaginato. Adesso, nell’interesse del Paese, è il momento di confermare e dimostrare questa compattezza attorno al Presidente Conte”, sono invece le parole del guardasigilli. La riunione del governo, durata circa mezz’ora, si è chiusa con un applauso dei ministri al premier.
La crisi nelle mani del Colle – Conte è quindi arrivato al Colle a mezzogiorno per rimettere l’incarico nelle mani di Mattarella. Dal Quirinale l’auto del presidente del consiglio è uscita dopo circa mezz’ora, per recarsi a Palazzo Giustiziani. Subito dopo aver visto la prima carica dello Stato, infatti, il premier ha incontrato la seconda, cioè la presidente del Senato Elisabetta Casellati. Poi ha visto la terza, il presidente della Camera Roberto Fico: un colloquio, quest’ultimo, lungo un’ora e un quarto. Nel frattempo il Quirinale ha diffuso un comunicato per confermare che Conte “ha rassegnato le dimissioni” e “il Presidente della Repubblica si è riservato di decidere e ha invitato il Governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Il capo delle Stato ha fissato l’inizio delle consultazioni per il pomeriggio del 27 gennaio. Dopo le consultazioni, che saranno rapide ma approfondite, Mattarella ha essenzialmente due strade. La prima: se ci fossero i margini di manovra potrebbe conferire un nuovo incarico a Conte per varare un nuovo esecutivo con una maggioranza più larga dell’attuale. Da capire se grazie all’arrivo di quei 10/15 senatori responsabili o dopo un riavvicinamento con Italia viva. Se invece risultasse impossibile la permanenza a palazzo Chigi dell’attuale inquilino, è chiaro che si aprirebbero altri scenari: dal cambio di premier con una coalizione uguale all’attuale allargata a Italia viva, o a una eventuale nuova maggioranza di governo. Si discute di un esecutivo sostenuto dalla cosiddetta “maggioranza Ursula”, di uno di larghe intese o di unità nazionale. Tutte ipotesi di scuola che naturalmente restano tali fin quando Mattarella non sarà in possesso di ogni elemento che gli consenta di capire se esistano gli spazi per risolvere la crisi o se invece lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni risultino inevitabili.
Cosa succede ora – Conte si è dimesso dopo soli 7 giorni dalla fiducia incassata al Senato: in sette giorni, infatti, l’appello ai responsabili fatto in Parlamento dal premiernon ha portato ai risultati sperati. Ad accelerare le cose è stato il voto sulla relazione del ministro della Giustizia in programma per giovedì prossimo: se sulla fiducia l’esecutivo poteva contare almeno sulla maggioranza relativa, sull’operato di Bonafede molto probabilmente non avrebbe avuto i numeri sufficienti. Da lì la decisione del premier di dimettersi per provare a lavorare alla nascita di un Conte ter. Prima però, dovrà attendere dalle consultazioni e dimostrare che i cosiddetti responsabili sono pronti a farsi avanti. L’ipotesi di un dialogo con Italia viva rimane sullo sfondo: Nessuno può mettere veti a nessuno e in politica mai dire mai. La crisi è una battuta di arresto che ci preoccupa imemsamente, e prendiamo atto che lo steso Renzi ha detto che non ci debbano essere veti su Conte. Cerchiamo di fare ragionamenti solidi in tempi brevi”, dice Debora Serracchiani. “È il momento della verità, in queste ore capiremo chi difende e ama la Nazione e chi invece pensa solo al proprio tornaconto. Il MoVimento 5 Stelle rimane il baricentro del Paese e insieme al presidente Giuseppe Conte offriremo il nostro contributo per la stabilità. Questo è il nostro impegno, a questo fine stiamo lavorando. Rendiamoci conto di ciò che sta succedendo in Italia”, scrive il ministro degli Esteri, Luigi Di Maiosottolineando che Conte “ha appena rassegnato le dimissioni per via di una crisi di governo senza alcun senso”.
Centrodestra andrà unito al Colle – In attesa che il Colle ufficializzi il calendario delle consultazioni, le varie forze politiche hanno radunato i parlamentari. Il Pd ha fissato la sua assemblea per le 14 di mercoledì, Italia viva in un primo momento aveva riunito i parlamentari per le 22 e 30 di martedì, ma poi ha rinviato a domani l’incontro. Il centrodestra ha invece tenuto il suo vertice – allargato anche ai “piccoli”, cioè Udc, Cambiamo e Noi con l’Italia- e alla fine ha fatto sapere che i tre leader – Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi – andranno insieme da Mattarella. Un dettaglio che allontana l’ipotesi di un sostegno di Forza Italia all’esecutivo. “Nel corso del vertice, il centrodestra ha ribadito la necessità che l’Italia abbia in tempi rapidi un governo con una base parlamentare solida, una forte legittimazione e non, invece, un esecutivo con una maggioranza raccogliticcia. La coalizione è pronta a sostenere in Parlamento tutti i provvedimenti a favore degli italiani, a partire dai ristori e dalla proroga del blocco delle cartelle esattoriali”, si legge alla fine in un comunicato dell’opposizione. Salvini e Meloni chiedono di tornare alle urne, Berlusconi si limita a sottolineare “la prova di grande compattezza” della coalizione. La senatrice Paola Binetti dell’Udc, spesso indicata come potenziale responsabile pro governo, da parte sua dice: “Noi siamo nel centrodestra e restiamo nel centrodestra. L’auspicio vero è che una parte del centrodestra, il centro del centrodestra, si sposti e sostenga il Governo in una fase di emergenza nazionale”.
Il costituzionalista: “Governo in carica per gli affari correnti può gestire pandemia e decreti economici urgenti. Il Recovery resta al palo”
Nessun ostacolo per i decreti legge sulle misure economiche più attese, dal rinvio delle cartelle esattoriali ai nuovi ristori. Per dettato costituzionale sono atti riservati ai “casi straordinari di necessità e urgenza” ed è l’urgenza stessa a giustificarne il varo da parte di un governo dimissionario. Lo stesso vale per la gestione dell’emergenza sanitaria: in caso di un’impennata dei contagi, per esempio, l’esecutivo potrebbe emanare un nuovo decreto e non sarebbe esclusa nemmeno – “con parsimonia” – l’opzione di un Dpcm firmato da Giuseppe Conte. “Al contrario, invece, è ora precluso tutto ciò che comporta una scelta legata all’indirizzo politico“, spiega a ilfattoquotidiano.it Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università La Sapienza, poco dopo le dimissioni di Conte nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella che come da prassi cha invitato il governo a rimanere in carica “per il disbrigo degli affari correnti”. “E’ sospesa quindi tutta l’attività preparatoria del Recovery plan ed è bloccata qualsiasi altra trattativa con le istituzioni europee su altri dossier. Per questo è assai auspicabile e necessario che la crisi si risolva in tempi brevissimi“.
Professore, quali sono i “confini” degli affari correnti?
I limiti si deducono dalla Costituzione, che dice cosa può fare un governo che goda della fiducia del Parlamento. L’attuale governo come sappiamo ha ottenuto la fiducia necessaria ma si ritiene – e ha ritenuto il presidente del Consiglio – che non ci siano le condizioni politiche perché prosegua la sua attività. Ora, con le dimissioni, può occuparsi certamente dell’ordinaria amministrazione ma anche degli atti inderogabili, in assenza dei quali non potrebbe proseguire l’ordinaria attività della pubblica amministrazione, e di quelli urgenti. Non può dunque emanare nuovi atti, per esempio disegni di legge di iniziativa governativa, ma può adottare decreti legge.
Quindi nulla osta all’approvazione di un decreto per rimandare l’invio degli atti del fisco. E del quinto decreto Ristori.
Esatto, se si tratta di atti immediatamente esecutivi che non comportano attività politica. Ma poi si porrà comunque il problema, perché i decreti devono essere convertiti in legge dal Parlamento e in questa situazione quale maggioranza lo convertirebbe?
Lo stesso vale per i provvedimenti legati all’emergenza pandemica?
Sì, il governo potrà e dovrà continuare a gestirla monitorando i contagi e applicando le norme esistenti, quindi per esempio adottando le decisioni sulla colorazione delle Regioni in base agli attuali parametri. Se poi ci fosse un’impennata dei contagi sarebbe possibile adottare un decreto legge, un provvedimento del ministro della Salute o ancora una volta – ma direi con grande parsimonia – un dpcm.
Il confronto con le parti sociali sul Recovery plan invece può continuare?
No, l’attività preparatoria è sospesa perché formalmente (se anche nascesse un Conte ter ndr.) non sarà questo governo, con questa composizione, a gestire i fondi europei per la ripresa. Tanto più non potrà essere presa alcuna decisione sulla governancedelle risorse. Al massimo possono essere adottati eventuali atti legati a scadenze comunitarie, in quanto legati a obblighi internazionali. Ma anche in questo caso inevitabilmente c’è uno scoglio politico perché quegli atti non possono essere discussi dalle Camere, la cui attività è sospesa con l’eccezione delle audizioni sul Recovery, che serviranno comunque al Parlamento quale che sia la maggioranza politica che emergerà.
Si rischia così un ritardo nella messa a punto del piano definitivo da presentare a Bruxelles.
Per questo non possiamo continuare ad avere un governo sospeso. L’interesse nazionale, come ha rilevato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, spinge a una soluzione rapida. Le parti politiche, se non sono irresponsabili, devono tener conto del superiore interesse costituzionale, ma anche sociale e politico, rappresentato dalla salvaguardia del bene fondamentale della salute ma anche di interessi economici rilevantissimi: mi riferisco appunto al Recovery fund. Andare a elezioni, esito che sarà inevitabile se non si trova una maggioranza possibile, sarebbe una sconfitta per questo Parlamento e credo per l’Italia, perché nei prossimi due mesi dobbiamo impostare la ripresa che in caso contrario rischia di essere compromessa.
Sul tavolo ci sono anche altri dossier finanziari pesanti, alcuni dei quali oggetto di interlocuzione con la Ue: da Alitalia alla cessione di Mps.
Le trattative su questi fronti si bloccano perché le uniche azioni possibili son quelle dettate dalla necessità. Ovviamente in questa situazione in cui tutto è urgente non ce lo possiamo permettere.
Fonte il fatto quotidiano
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