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Coronavirus, Confcommercio: “A marzo consumi in calo del 32%. Ora liquidità immediata ma anche contributi a fondo perduto”

By   /  14 Aprile 2020  /  No Comments

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l report della confederazione che rappresenta negozianti, turismo e servizi segnala l’inevitabile crollo del turismo e la discesa in picchiata delle immatricolazioni di auto, delle vendite di abbigliamento e calzature e degli affari di bar e ristoranti, nonostante le consegne a domicilio. Aumentano del 9,6% le spese per alimentari e bevande.

Consumi in picchiata del 31,7% a marzo rispetto allo stesso mese del 2019, per effetto di un crollo della domanda di servizi e di un forte calo di quella di beni come mobili, elettrodomestici e abbigliamento. Sono le conseguenze del lockdown stimate in uno studio della Confcommercio, la confederazione che rappresenta negozianti e imprese del turismo e dei servizi. Secondo il presidente Carlo Sangalli “i dati di marzo confermano il crollo dei consumi e del fatturato delle imprese”. Di conseguenza “serve liquidità immediata senza burocraziaintegrando le garanzie dello Stato” già previste dal decreto liquidità “con indennizzi e contributi a fondo perduto“. Il rapporto dell’ufficio studi prevede per il primo trimestre di quest’anno una riduzione tendenziale dei consumi del 10,4%.

“Siamo in presenza di dinamiche inedite sotto il profilo statistico-contabile, che esibiscono tassi di variazione negativi in doppia cifra”, si legge nel report sulla congiuntura, in cui si segnala l’inevitabile crollo del turismo con un -95% degli stranieri a partire dall’ultima settimana di marzo e la discesa in picchiata delle immatricolazioni di auto (-82%), delle vendite di abbigliamento e calzature(-100% per la maggior parte delle aziende non attive su piattaforme virtuali), di bar e ristorazione (-68% considerando anche il delivery a casa). In Campania, dove l’ordinanza regionale vieta anche le consegne a domicilio, la situazione è ancora peggiore. “Sono un piccolo palliativo ma possono contribuire a salvare qualcuno, visto che prevediamo che un terzo dei locali di ristorazione non riapriranno”, ha spiegato Massimo Di Porzio, presidente della Fipe Confcommercio per Napoli e provincia.

L’ufficio studi di Confcommercio ha quantificato il calo dei consumi nel 31,7% come “sintesi di un rallentamento nei primi 10 giorni del mese, quando non era ancora in atto la chiusura di gran parte delle attività, e di un sostanziale blocco della domanda, ad eccezione di alcune voci” – sono ovviamente aumentati gli acquisti nella grande distribuzione – “nei giorni successivi”. I più penalizzati sono risultati i servizi, in particolare quelli relativi al tempo libero (Vedi tabella). Al contrario i risultati migliori si registrano per il comparto alimentare (+9,6%), per i prodotti farmaceutici e terapeutici (+4,0%) e per i servizi di comunicazione (+8%). I gruppi di prodotti e di servizi osservati dall’indicatore dei consumi Confcommercio sono 29 e rappresentano, si legge nella nota metodologica, “nell’anno 2018, il 57,3% del valore dei consumi effettuati sul territorio. Per i servizi l’incidenza è del 33,6% e per i beni è dell’83,5%”.

Secondo Sangalli “va pianificata attentamente la riapertura delle attività preparando i livelli sanitari, tecnologici e organizzativi perchè il Paese appena possibile deve riaccendere i motori e ripartire in assoluta sicurezza”.

“Il tema della ripresa quando l’Italia riaprirà è denso di incognite”, si legge nel rapporto. “Infatti, al termine dello scorso anno, non erano stati ancora recuperati i livelli di reddito disponibile e consumi – in termini reali – sperimentati nel 2007: le perdite ammontavano ancora rispettivamente a 1.700 e 800 euro per abitante. Insomma, detto senza giri di parole, oggi è necessario evitare che, dopo il coronavirus, la ricostruzione dei livelli di benessere economico, già depressi, del 2019, duri troppi anni”. Il rischio “è la marginalizzazione strutturale del Paese rispetto alle dinamiche internazionali dell’integrazione, dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità e, in definitiva, della crescita di lungo termine” e che “a pagarne il prezzo più alto sarebbero le generazioni più giovani”.
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