La nuova indagine è stata aperta dalla procura di Messina: sotto inchiesta Carmelo Petralia e Anna Maria Palma, oggi aggiunto a Catania e avvocato generale a Palermo. La notizia dell’inchiesta è emersa perché alle persone sottoposte a indagini e alle parti lese la Procura ha notificato l’esecuzione di accertamenti tecnici irripetibili. Riguardano 19 cassette con le registrazioni delle conversazioni di Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna e falso pentito che con le sue dichiarazioni depistò la strage
Due pm che indagarono sulla strage di via d’Amelio sono indagati per concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Si tratta di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, attualmente procuratore aggiunto a Catania e avvocato generale a Palermo. All’epoca erano entrambi pm di Caltanissetta. Ventisette anni dopo la strage che uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta ci sono quindi due magistrati accusati del depistaggio dell’inchiesta. La notizia dell’inchiesta è diventata pubblica perché l’ufficio inquirente della città sullo Stretto ha notificato un avviso di accertamento tecnico irripetibili agli indagati e alle parti lese, cioè Gaetano Murana, Giuseppe La Mattina e Cosimo Vernengo, ingiustamente accusati nei primi processi. Oltre a Gaetano Scotto, Giuseppe Urso, Natale Gambino.
Le 19 cassette e l’atto non ripetibile- Gli atti tecnici che devono compierere gli investigatori non sono ripetibili perché c’è il rischio che le prove vadano perdute. Riguardano 19 cassette con le registrazioni delle conversazioni di Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna e falso pentito che con le sue dichiarazioni depistò la strage. Venne ascoltato mentre era sotto protezione, un periodo in cui, secondo l’accusa, è stato indotto, anche con la violenza, dal pool di poliziotti che indagava sull’attentato, a mentire. Del pool di investigatori, guidati dall’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, poi deceduto, facevano parte i poliziotti oggi finiti a giudizio: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sono occusati del depistaggio delle indagini, costato l’ergastolo a sette innocenti. Il reato contestato ai magistrati e ai funzionari di polizia è la calunnia: i pm e i poliziotti avrebbero imbeccato tre falsi pentiti. Ai magistrati si contesta, oltre all’aggravante di avere favorito Cosa nostra, anche l’aggravante che deriva dal fatto che dalla calunnia è seguita una condanna a una pena maggiore di 20 anni. Le cassette sono molto datate e l’ascolto potrebbe deteriorarle: da qui la necessità che all’accertamento, mai eseguito prima, partecipino anche i consulenti degli indagati e delle persone offese. Scarantino, secondo l’accusa, sarebbe stato picchiato e minacciato perché desse la versione di comodo “pensata” dagli investigatori. E costretto a imparare a memoria le fandonie da ripetere durante gli interrogatori. Il falso pentito, protagonista di ritrattazioni clamorose, ha poi svelato le pressioni subite. Attribuendole soltanto ai poliziotti. I”l dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage. Io ho sbagliato una cosa sola: ho fatto vincere i poliziotti, di fare peccare la mia lingua e non ho messo la museruola…”, ha detto l’ex collaboratore solo poche settimane fa.
Come nasce l’inchiesta sui magistrati – L’indagine su Palma e Petralia nasce nello scorso novembre, quando la procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo per il depistaggio delle indagini sull’attentato, ha trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati. Così l’ufficio inquirente della città sullo Stretto ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre-investigativa. Che adesso è diventata un’inchiesta per calunnia aggravata con alcune persone indagate. I fatti contestati sono stati commessi “in Caltanissetta e altrove, in epoca antecedente e prossima al settembre 1998”. La nuova indagine è condotta dal procuratore di Messina, Maurizio De Lucia,perché l’ufficio inquirente della città dello Stretto è competente quando sono coinvolti nelle vicende giudiziarie magistrati in servizio a Catania: ed è il caso di Petralia.
Le motivazioni del Borsellino Quater – Negli atti che i pm di Caltanissetta hanno inviato ai colleghi messinesi si fa riferimento alla sentenza del processo Borsellino quater. Nelle motivazioni dell’ultimo verdetto della strage i giudici della corte d’assise parlavano di depistaggio delle indagini sull’attentato al magistrato. “Questa Corte ritiene doveroso, in considerazione di quanto è stato accertato sull’attività di determinazione realizzata nei confronti dello Scarantino, del complesso contesto in cui essa viene a collocarsi, e delle ulteriori condotte delittuose emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale, di disporre la trasmissione al Pubblico ministero, per le eventuali determinazioni di sua competenza, dei verbali di tutte le udienze dibattimentali, le quali possono contenere elementi rilevanti per la difficile ma fondamentale opera di ricerca della verità nella quale la Procura presso il Tribunale di Caltanissetta è impegnata”, è il passaggio della sentenza con cui si dispone la trasmissione degli atti.
Fiammetta Borsellino: “Non parlo di indagini in corso” –“Preferisco non parlare di indagini ancora in corso”, ha detto Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice Paolo Borsellino. Fiammetta Borsellino ha partecipato a numerose udienze del processo sul depistaggio, dove si è costituita parte civile, e più volte ha lamentato il comportamento dei magistrati che indagarono sull’attentato. “Mio padre è stato lasciato solo, sia da vivo che da morto. C’è stata una responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage – ha sempre ripetuto Fiammetta Borsellino – hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legem e che ad oggi non sono mai stati perseguiti né da un punto di vista giudiziario né disciplinare”.
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