05OCT2014 h 23.15
Hong Kong ha una fila per tutto.
Ora siamo in fila in aeroporto aspettando il visto d’entrata. Ci metteremo in fila per qualunque cosa: in fila per i biglietti del treno che ci porterà sull’isola; in fila per il taxi verso un albergo che non conosciamo mentre i nostri sessanta chili di valige trasbordano dal cofano, che il poveretto tenta invano di convincere a chiudersi litigando con una corda elastica; in fila per gli autobus, uno dietro l’altro e guai a chi prova a passarci in mezzo, anche quando è lunga seicentocinquanta metri e per accodarti devi girare l’angolo della strada e non riesci nemmeno più a vedere il tizio che regola l’accesso ai pullman, sgolandosi interminabilmente nel suo megafono; in fila alle casse del supermercato, anche se è largo due metri per due e per tentare di allinearti sei costretto a circumnavigare gli scaffali; ancora, in fila per l’ascensore, in questi grattacieli giganteschi e pieni di uffici e di gente con camicie rosa che inguardabili è poco; in fila, cristosanto, persino dentro l’ascensore in attesa di scendere, disposti uguali alle figurine di Indovina chi? se non fosse che, a Hong Kong, le facce non sapresti proprio distinguerle.
A parte le nostre.
Il poliziotto ci restituisce il passaporto e copia carbone del modulo che abbiamo compilato per il visto turistico: siamo a Hong Kong. Io e Claudia ci guardiamo in faccia, davvero ci troviamo qui per lavoro?
Prima sigaretta. Usciamo dal terminal e una zaffata d’aria calda ci dà il benvenuto: il tempo di appiccicarsi addosso il tremila percento d’umidità e siamo già in albergo, a cercare di capirci qualcosa tra jet lag e prese di corrente che abbiamo scordato gli adattatori, tra finestre che non si aprono e infiniti interruttori che accendono luci a casaccio, tra l’aria condizionata a palla e lo scopino del cesso questo sconosciuto.
Seconda sigaretta. A Hong Kong non c’è traccia di cicca per terra, e sull’asfalto e sui marciapiedi, e per i viali e per le scalinate, e davanti ai portoni e alle entrate dei negozi. Ai bordi delle strade, sui grossi bidoni di latta arancioni per la spazzatura, appositi megaposaceneri raccolgono quello che resta dei nostri tiri di tabacco.
Terza sigaretta. Vediamo come arrivare al lavoro domani. L’ufficio, botta di culo, si trova proprio di fronte al Palazzo del Governo, che arrivandoci troviamo assediato dai manifestanti di Occupy Central. Vabbè, assediato. In effetti è tutto un tripudio di colori; e allora giù post-it e manifesti e ombrelli, e zaini, tende e reflex, e quotidiani e merendine e insomma sembra più un picnic che fai fatica a pensare che da giorni il mondo intero non smetta di parlarne come fosse una rivolta epocale.
E adesso a dormire. Buonanotte Asia: senza fare troppo casino, ci siamo anche noi.
Vito Aguanno
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