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Diario da Hong Kong (parte II) – Tragedia al ristorante cinese

By   /  16 Ottobre 2014  /  No Comments

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Dice che il Dim Sum è questo pranzo della domenica che si usa nella Cina meridionale, una specie di brunch anglosassone in cui si comincia a spiluccare in tarda mattinata e si va avanti finché ce ne sta. E fa lo stesso se oggi è venerdì.

Tavolo prenotato, vuoi che tra i mille piani di questo palazzo non ci fosse un ristorante cinese di quelli tradizionali, di quelli che le bacchette e il menu pieno di ideogrammi che per te significano meno di niente, di quelli che il cameriere ti domanda “Do you want some tea?” e tu guardi in faccia chi ti sta accanto con sguardo perplesso e ti chiedi se anche lui starà pensando “Ma a mezzogiorno?!”, che sei circondato da occhi a mandorla e li senti tutti puntati proprio su di te.

Noi per fortuna non siamo soli. La nostra collega cinese ci solleva dal primo imbarazzo: cosa ordiniamo? Comincia a flaggare le pietanze sul foglio che c’hanno dato, segna almeno dodici ics e, insieme, anche se ancora non lo sappiamo, la nostra fine: come fosse la cena a casa della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, i camerieri pinguinati cominciano un avanti e indietro dal nostro tavolo.

Già, il nostro tavolo. Partiamo da questo. Scordatevi forchette, coltelli, cucchiai; già che ci siete scordatevi anche i piatti. Scordatevi tutto. Qui si va di ciotole e di mestoli, di bacchette e di teiere, l’unico lusso ammesso è uno stuzzicadenti confezionato che nemmeno in gioielleria. Come Fantozzi e Filini, lo spauracchio è l`arrivo del tordo intero.

Musica, maestro. Cominciano a versare questo tè che accompagnerà l’intero evento. È il protagonista assoluto, la bevanda predominante, chi l’avrebbe mai immaginato di pasteggiare all’essenza di narciso come fosse acqua minerale. Poi, tra un sorso e l’altro tirato da queste ciotole, si trova anche il tempo di mangiare. E a questo punto parte l’elenco delle prelibate pietanze, piazzate lì, al centro del tavolo, a nostra disposizione finché non troviamo il coraggio di servirci. Afferrandole temerariamente con le bacchette, il tragitto fino alla propria terrina sembra interminabile, ricorda il primo volo dei fratelli Lindbergh, un mix tra l’incredulità di avercela fatta e il terrore di vederle schiantare al suolo.
Così, in una nostra personalissima descrizione, abbiamo:
– una via di mezzo tra la paranza e le alici, in pastella, accompagnate da uno squisito e leggerissimo sugo al peperoncino;
– maiale in crosta, tagliato a dadini, accompagnato da mostarda e, come no, zucchero;
– dolce dalla forma di ricciarello ma con cuore caldo di maiale, arrostito in un sugo dolce, simil miele + marmellata;
dumplings (fagottini cilindrici trasparenti tipo gelatinosi) con verdure miste semifrullate e non ben identificabili;
dumplings con carne macinata, cavolo e qualcos’altro, anch’esso, non ben identificabile;
dumplings con gambero al vapore, assolutamente sprovvisto di alcun sapore, buono o cattivo che sia;
– involtino di pasta frolla salata con funghi, pollo e patata dolce;
– riso al glutine con pollo e capasanta, cotto e avvolto in foglia di loto con pellicola a tener insieme la vicenda;
– spaghetti affogati in una zuppa con maiale che inquietante è dire poco;
– zuppa con patate e pomodoro (e detta così sembrerebbe passabile) e sorprendente fagottino con forma di medusa spiaggiata e contenuto indefinibile;
– zuppa di aragosta con riso bollito e riso croccante;
egg tart, crostata con un uovo dolcificato spiaccicato nel mezzo.

A parte, fuori menu, abbiamo “spontaneamente” richiesto di assaggiare il succulento dolce di punta del dim sum: una sorta di zuppa dolce nella quale troviamo in sospensione del fogliame di provenienza ignota e dei rimasugli di frutta secca mista, forse datteri (o forse no, chi lo sa), e pare ci fosse del cocco (chissà, forse proprio la noce), il tutto maestosamente condito da una quantità industriale di zucchero non raffinato.

Effetto assolutamente agghiacciante, anche considerato che a un’ora e mezza di distanza, il sapore della portata ritorna a intervalli regolari a riproporsi indesideratamente. Altre controindicazioni: alito mortifero e pancia di un’incinta di cinque mesi, anche grazie al fatto che le caraffe di tè al narciso erano evidentemente a riempimento automatico. Non finiva mai, nonostante la mia collega continuasse a versarne, e ciascun commensale si è trovato così costretto a deglutirne diverse litrate.

Poi ci raccontano che il pericolo è la rivolta. Forse non sono mai passati al ristorante cinese.

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