Mentre un caso sospetto si segnala nelle Marche, facciamo qualche conto: le probabilità che il virus arrivi da noi non sono nulle, ma il rischio contagio è davvero trascurabile
Dopo la bufala di casi sbarcati a Lampedusa, l’allarme ebola in Italia è tornato, nelle Marche, con la segnalazione di un caso sospetto (una nigeriana tornata da poco dal suo paese). In attesa di conferme o smentite, quel che sappiamo per ora è che la probabilità che in Italia arrivi un caso di ebola, ovvero che si registri un caso di importazione del virus che sta flagellando l’Africa occidentale, c’è, ed è del 5% circa nelle prossime tre settimane. Ma la probabilità che un caso di infezione arrivi inEuropa è quasi il doppio, spiega Alessandro Vespignani, Sternberg Distinguished Professor alla Northeastern University di Boston. Probabilità non trascurabili, ma comunque piccole, e che in ogni caso non metterebbero a rischio epidemia il nostro paese, né tanto meno l’Europa. Perché? Lo abbiamo chiesto allo stessoVespignani, esperto di big data e modelli previsionali sulle epidemie, che ha appena pubblicato su Plos Currents Outbreaks lestime sul rischio di diffusione internazionale di ebola.
“Quello che noi facciamo con le nostre simulazioni numeriche sulle diffusioni di epidemie è in fondo simile a quanto si fa con le previsioni meteo”, comincia Vespignani: “In pratica utilizziamo dei modelli al computer che, mescolando dati come la densità di popolazione nelle varie zone del mondo, con quelli relativi alle modalità e i tempi di trasmissione di un virus, e quelli che arrivano dalla diffusione della malattia sul campo, nelle zone colpite, riusciamo ad estrapolare delle proiezioni sul numero di casi che potranno verificarsi, dove e quando”.
Tutto parte da una mappatura delle popolazioni umane (che non comprenda solo la densità abitativa per aree, ma anche la struttura demografica, il numero di personale medico presente e i posti letto per esempio) che viene poi integrata con i dati relativi a come si muove questa popolazione (questo significa, per esempio, avere accesso a tutti i voli che ogni giorno collegano tutte le città del mondo). “Sostanzialmente si crea nel computer un mondo sintetico, che riproduca la distribuzione di popolazione nel globo e la sua modalità di spostamento”. Questo, spiega Vespignani, perché per elaborare dei modelli previsionali sulla diffusione dimalattie, non si può prescindere dal fatto che siamo noi, gli essere umani, i veicoli delle infezioni. È ovvio d’altra parte che perché i modelli siano più accurati possibile, li si debba calibrare sul tipo di malattia che si sta prendendo in considerazione, tenendo conto per esempio dei tempi e delle modalità di trasmissione di unvirus. Fatto questo, spiega il ricercatore, si eseguono simulazionial computer (milioni) in cui si mima l’introduzione di individui infetti all’interno di una popolazione, e se ne seguono gli spostamenti. “Per poi estrapolare delle previsioni si cerca il modello che meglio si adatta ai dati reali dell’epidemia in corso”, continua Vespignani.
Per ebola, i ricercatori si sono basati sui dati provenienti dai tre paesi maggiormente colpiti (Sierra Leone, Guinea e Liberia, dove i morti sfiorano oggi i 1.900), e una volta ottenuto il modello specifico per l’epidemia, hanno provato a estrapolarne le previsioni per l’Africa, ma anche per il resto del mondo. “Abbiamo così visto che, se non cambia nulla, ovvero se l’epidemia continua a crescere come ora e la trasmissibilità del virus si mantiene ai livelli attuali, i casi di infezione entro la fine del mese potranno oscillare tra i 6mila e i 10mila”, racconta il ricercatore: “Dopo di che abbiamo effettuato delle simulazioni per calcolare la probabilità che un individuo infetto salga su un aereo e porti il virus in altri paesi senza ebola, per diverse date”. Dalle migliaia di simulazioni effettuate è così emerso che in Italia, entro le prossime tre settimane, la probabilità di arrivo di un caso di ebolaè del 5%, in Europa circa il 10-20%. “Questo significa che tra le varie simulazioni effettuate solo in piccole frazioni si identifica un rischio di importazione di ebola per il nostro paese o continente”, rassicura Vespignani “e in ogni caso – e questa è la buona notizia – è che anche ci fosse un caso di importazione il numero di infezioni che si possono attendere è estremamente basso, appena un paio di casi. Non esiste una reale probabilità di contagio, sostanzialmente perché da noi, le nostre abitudini igieniche, i nostri comportamenti e il nostro sistema sanitario, sono profondamente diversi da quelli che si hanno in Africa. Infatti quando le previsioni sono fatte per il Ghana o il Gambia gli eventi di importazione e contagio sono decisamente più probabili”.
Purtroppo al momento le previsioni del team di Vespignani riproducono bene quanto sta succedendo in Africa: la speranza però è che nelle prossime settimane, anche per effetto delle misure di intervento sul campo, comincino a discostarsi. Nel frattempo i dati vengono continuamente aggiornati, e simulazionieffettuate di continuo, anche per capire se le misure adottate per contenere l’epidemia funzionino. “Per esempio, abbiamo ipotizzato che l’80% dei collegamenti coi paesi colpiti fosse interrotto. Quel che abbiamo visto è che le probabilità di importazione nel mondo occidentale del virus non cambiano sostanzialmente. Osserviamo solo un ritardo modesto, di circa 3-4 settimane, sulle probabilità di arrivo del virus”. Cosa significa questo? “Quanto elaborato con le previsioni è un effetto molto temuto da chi sta combattendo l’epidemia, perché significa che per ritardare l’arrivo del virus di poche settimane, si mette a rischio la possibilità di portare in loco le risorse e il personale necessario a combattere davvero l’epidemia. In altre parole, solo per rimandare il pericolo di esportazione del virus, si rischia di perdere la battaglia sul campo”, conclude Vespignani.
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