I seggi delle elezioni si sono aperti anche in Italia domenica mattina alle 7 e chiuderanno lo stesso giorno alle 23. Questa volta ce lo chiede l’Europa (di andare a votare), perché, nonostante una campagna elettorale urlata e povera di contenuti (anche più del solito), il voto sarà fondamentale per decidere il destino del Vecchio Continente.
Forse non tutti sanno che l’Unione Europea ha un’assemblea legislativa divisa in due Camere: una di esse è il Parlamento Europeo, eletto a suffragio universale e diretto, un’altra è il Consiglio dell’Unione Europea, formato dai rappresentanti dei governi degli Stati membri (anch’essi eletti, sia pure in modo diverso). Insomma, ogni volta che si va a votare per un’elezione nazionale, il cittadino vota anche per eleggere i “parlamentari” di una delle due Camere dell’UE, ovvero le persone che decideranno che cosa ci chiede l’Europa.
Nel Consiglio Europeo sono gli Stati a votare, e alcuni pesano più degli altri (fino al 31 ottobre 2014 i più pesanti sono Germania, Francia, Regno Unito e Italia, in seguito il voto verrà ponderato in base alla popolazione). Al Parlamento Europeo, invece, è più facile che le linee di voto seguano le indicazioni del gruppo parlamentare piuttosto che le linee nazionali.
Ma cosa fa esattamente questo Parlamento Europeo? A parte spendere soldi con molta facilità (caratteristica comune con altri organi dell’UE, nonché dei governi che decidono le politiche dell’Unione, si pensi al fatto che solo il Parlamento ha tre sedi in tre città diverse), i poteri dell’assemblea sono molto cresciuti sin dalla sua nascita, nel 1951.
Sin da quell’anno, infatti, con i Trattati di Parigi che istituirono la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, esiste un’Assemblea della CECA, che però non era eletta, bensì nominata dai singoli governi. Dopo il 1957, con i Trattati di Roma, essa cambia nome, diventa “Assemblea Parlamentare Europea”, ed acquista un po’ più potere, anche se solo di tipo consultivo.
Nel 1963 l’assemblea acquista il nome di Parlamento Europeo, e con il tempo aumentano i suoi poteri, che non sono più consultivi, ma anche di controllo finanziario: nel 1970, con il Primo Trattato Finanziario, il Parlamento Europeo acquista la facoltà di rigettare la proposta di spesa non obbligatoria (ovvero quanto non riguarda l’agricoltura e gli accordi internazionali, che restano in capo al Consiglio), mentre con il Secondo Trattato Finanziario del 1975 gli viene concesso il potere di rigettare il bilancio nella sua interezza. Ciò è avvenuto solo due volte, e nel 1998 portò alla caduta dell'”esecutivo” europeo, ovvero la Commissione guidata da Jacques Santer: grazie ai poteri di controllo del Parlamento, infatti, vennero alla luce casi di corruzione, frode, nepotismo e inefficienza, che causarono uno scontro istituzionale (né Santer né la principale accusata, la francese Crasson, volevano dimettersi). Alla fine, grazie allo spirito europeista di altri commissari (fra cui Emma Bonino), il conflitto fu risolto con le dimissioni di massa dei commissari e la vittoria del Parlamento, che impose così il suo potere di controllo politico quasi-fiduciario nei confronti del “Governo”.
Dal 1979 il Parlamento è eletto a suffragio universale e diretto, mentre nel 1986 inizia a partecipare meglio all’attività legislativa, con l’introduzione delle procedure di cooperazione e di parere conforme: in sintesi, mentre prima il Parlamento si limitava a dare pareri, da quell’anno i pareri su alcune materie (fra cui l’adesione di altri Paesi all’allora CEE) diventano vincolanti (parere conforme), mentre su altre il Parlamento partecipa alla stesura dell’atto con la Commissione e il Consiglio e, se esprime parere contrario, il Consiglio deve approvare l’atto all’unanimità.
Nel 1993, con il Trattato di Maastricht, arriva la procedura di codecisione, che all’epoca era intesa come procedura legislativa eccezionale. Con questa procedura alcuni atti legislativi UE dovevano essere approvati (in tre letture) sia dal Parlamento che dal Consiglio. Nel 1997, con il Trattato di Amsterdam, questa procedura viene allargata ad altre materie, fra le quali la protezione dei consumatori, la mobilità dei lavoratori in Europa e l’ambiente.
Nel 2009, con il Trattato di Lisbona, la procedura di codecisione diventa procedura legislativa ordinaria: ciò significa che in moltissimi campi (fra cui quelli fondamentali relativi ad agricoltura, energia, immigrazione, giustizia e affari interni, salute e fondi strutturali) Parlamento e Consiglio hanno pari poteri.
Più in generale le due Camere sono quasi sempre sullo stesso piano, anche sul bilancio, con la fine della distinzione fra spese obbligatorie (su cui il Consiglio aveva l’ultima parola) e non obbligatorie. Il nuovo Parlamento, inoltre, voterà qualcosa di simile alla fiducia alla Commissione Europea, del suo Presidente e del vice, l’Alto Rappresentante (il ministro degli Esteri UE), su proposta dei governi nazionali. Questa procedura dovrebbe concludersi in autunno.
Il Parlamento, inoltre, vigilerà perché venga applicato il diritto d’iniziativa dei cittadini UE, che prevede la possibilità, per almeno un milione di cittadini, di proporre nuove politiche europee.
Passando ai fatti concreti, in particolare saranno cinque i campi di sfida su cui il Parlamento Europeo dovrà intervenire. Il primo è la gestione della politica monetaria: finora la BCE è stata la meno inefficiente delle istituzioni europee e ha evitato la rottura della moneta unica. Bisognerà vigilare sul percorso che porterà all’Unione Bancaria, bisognerà verificare meglio il funzionamento della BCE e decidere se allargare i poteri dell’istituto guidato da Mario Draghi. Appare impossibile che si porti avanti la rottura della moneta unica: l’unica procedura che prevede una simile eventualità è l’uscita tout-court dall’Unione Europea, tuttavia questa eventualità è esclusa anche da molti partiti euroscettici, poiché, moneta o meno, l’Unione Europea ha garantito numerosi benefici, a cominciare dal più lungo periodo di pace nella storia del Continente.
Altro tema importante sarà il fiscal compact: per quanto sia necessario che i Paesi, specie quelli del Sud, non ricomincino a spendere in modo inefficiente e inefficace (l’Italia, in verità, non ha mai smesso da almeno tre decenni), l’Europa dovrebbe permettere un certo margine di manovra e superare non solo le politiche di austerità, ma anche i veti contrari alla politica fiscale comune che, se attuata decentemente, risolverebbe molti problemi dell’Europa Unita.
Serviranno poi politiche volte a rendere il mercato del lavoro veramente europeo, specie in un momento di altissima disoccupazione come quello attuale: andrà rafforzata la mobilità del lavoro nel continente e, possibilmente, andrà prevista una rete di sicurezza dei lavoratori europei. Una riforma buona darebbe anche maggiore stabilità all’area valutaria.
Altro tema sarà la gestione dei flussi migratori: i disordini degli ultimi anni in altri Paesi del Mediterraneo (nonché quelli che rischiano di emergere nell’Europa dell’Est, come in Ucraina) aumenteranno le pressioni alle frontiere, che finora sono state lasciate in carico ai governi nazionali, che non sono stati in grado di gestirle al meglio.
Infine bisognerà affrontare la questione dell’armonizzazione dei diritti civili, dall’aborto all’eutanasia passando per le unioni civili, omosessuali o meno. A riguardo le legislazioni nazionali sono molto differenti, eppure, visto che le frontiere sono aperte, ciò che decide uno Stato potrebbe avere effetti in un altro (pensiamo, ad esempio, alle coppie italiane che negli anni scorsi hanno “violato” la legge sulla fecondazione assistita migrando in Spagna).
Il Parlamento Europeo, insomma, non solo non è mai stato così grande (rappresenterà oltre mezzo miliardo di persone), ma non ha mai avuto così tanto potere di decidere la vita di tutti questi cittadini europei. Ecco perché in questi giorni i popoli d’Europa sono andati a votare, anche se in alcuni Paesi, fra i quali l’Italia, l’importantissimo dibattito su questi temi è stato coperto da urla estremamente desolanti.
Fonte -IBT-
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