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Il primo hacker della storia

By   /  4 Giugno 2014  /  No Comments

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111 anni fa, l’inventore inglese Nevil Maskelyne si inserisce nella dimostrazione pubblica del telegrafo di Marconi

Una parola di quattro lettere, ripetuta più e più volte: “ Rats”. Che letteralmente sarebbe “ratti”, ma colloquialmente vale anche “vermi” o “spie”. La udì il pomeriggio del 4 giugno 1903 il pubblico attonito del teatro della Royal Institution di Londra. E creò abbastanza scalpore in quella che, invece, sarebbe dovuta essere una cerimonia di tutt’altro tono: una dimostrazione dell’efficacia del telegrafo senza fili messo a punto qualche tempo prima da Guglielmo Marconi, il padre della radio.

 

Lo scopo della conferenza era quello di mostrare al mondo, per la prima volta, che era possibile trasmettere messaggi in codice Morse senza fili e su lunghe distanze. Davanti alla folla, il fisico John Ambrose Fleming, assistente di Marconi, stava sistemando l’apparato di ricezione sviluppato dal suo capo. Che si trovava a circa 300 chilometri di distanza, in una stazione radio di Poldhu, Cornovaglia, pronto a trasmettere. Ma qualcosa andò storto. Poco prima dell’inizio della dimostrazione, lo strumento iniziò a ticchettare. In un primo momento, arrivò solo “rats”. Poi fu ricevuta una filastrocca canzonatoria che accusava Marconi di voler “fregare il pubblico”. Sconcerto generale: la dimostrazione era stata hackerata. Oltre cento anni prima degli odierni pirati informatici. Chi era il responsabile? E, soprattutto, perché l’aveva fatto?

 

Per capirlo bisogna tornare indietro di qualche anno. Precisamente al 1887, quando Heinrich Hertz aveva dimostrato l’esistenza delle onde elettromagnetiche previste da James Clark Maxwell vent’anni prima. Facendo scaricare un condensatore in due elettrodi separati, Hertz aveva ionizzato l’aria nello spazio compreso tra essi, creando una scintilla. Miracolosamente, era comparsa un’altra scintilla tra due elettrodi distanti qualche metro, segno che un’onda elettromagnetica aveva indotto una corrente tra la seconda coppia di elettrodi. Si sarebbero potute usare raffiche di energia elettromagnetica più o meno lunghe – le cosiddette onde hertziane – per rappresentare i punti e le linee del codice Morse. Era appena nato il telegrafo senza fili, a cui subito si applicò Guglielmo Marconi. Nel febbraio 1903, lo scienziato italiano era molto avanti con lo sviluppo dello strumento, tanto da sostenere pubblicamente sulle pagine della St. James Gazette di Londra di “poter sintonizzare il telegrafo in modo che nessun altro apparato che non sia sintonizzato in modo simile posso introdursi e disturbare i messaggi”.

 

L’italiano si sbagliava. Durante la dimostrazione dello strumento, qualcuno era effettivamente riuscito a inserirsi nella trasmissione. E a sbeffeggiare gli scienziati, che reagirono abbastanza poco sportivamente. “Si tratta di teppismo scientifico e di un oltraggio nei confronti del prestigio della Royal Institution ”, commentò a caldo Fleming, appellandosi ai lettori del Times perché lo aiutassero a identificare il colpevole.

 

Non avrebbe dovuto aspettare a lungo. Solo quattro giorni dopo, il quotidiano pubblicò una lettera dell’autore dell’atto vandalico. Si tratttava di Nevil Maskelyne, trentanovenne inventore e sedicente mago inglese. Maskelyne proveniva da una famiglia di creativi: suo padre aveva inventato le serrature a moneta per le porte dei bagni pubblici a pagamento, tanto per dirne una. Nevil si era interessato sin da piccolo alla tecnologia wireless, usando il codice Morse per i suoi trucchi di lettura della mente in cui faceva credere di riuscire a comunicare telepaticamente con un pupazzo. Ma le ambizioni di Maskelyne si scontrarono ben presto con i brevetti di Marconi: fu per questo motivo che gli venne in mente di sbeffeggiare l’avversario disturbando la dimostrazione del funzionamento del suo telegrafo.

 

Ecco che quel fatidico 3 giugno, dunque, Maskelyne si installò in un edificio adiacente al teatro e mise in funzione un piccolo trasmettitore che aveva messo a punto per l’occasione. Divertendosi alle spalle di Marconi e Fleming. Oltre a umiliare l’italiano, comunque, l’ azione di Maskelyne servì anche alla scienza, perché evidenziò precocemente le falle di sicurezza dello strumento. Un po’ come succede con gli hacker di oggi.

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