Stiamo subendo un’invasione? L’Italia è davvero così inefficiente? E quante malattie portano? Mettiamo alla prova queste affermazioni
Il tema dei migranti in Italia riceve spesso molta attenzione su giornali, web e televisione. Altrettanto spesso, però, i toni con cui questo argomento viene raccontato virano sul sensazionalistico, distorcendo la percezione pubblica del problema e creando mitiche si radicano e diffondono. Miti duri a morire, a volte alimentati da pregiudizi e strumentalizzazioni. Miti che però si sfaldano una volta messi a confronto con i dati raccolti da fonti governative e organizzazioni sanitarie.
L’invasione
Davvero stiamo subendo una vera e propria invasione da parte di stranieri extracomunitari? A livello mondiale, le cifre fornite dalla Croce rossa parlano di un aumento del numero complessivo dei migranti, passato dai 175 milioni del 2000 ai 232 milioni del 2013. Un totale corrispondente al 3,2% della popolazione mondiale. In questo quadro globale, secondo i dati del ministero dell’Interno, nel 2014 sono arrivate in Italia poco più di 170mila persone, la maggior parte delle quali provenienti dalla Siria (42.323), dall’Eritrea (34.329) e dall’Africa sub-sahariana (20.461).
Un’ondata di arrivi più massiccia di quella del 2011, conseguenza della primavera araba, ma che ha visto emergere la figura del migrante in transito. Più di 100mila di queste persone avevano infatti intenzione di ripartire il prima possibile per dirigersi verso altri paesi europei.
“Si tratta di un fenomeno relativamente nuovo e dovuto a motivi diversi, uno dei quali è certamente la perdita, a causa della crisi, della capacità attrattiva dell’Italia”, spiega a Wired Giovanni Baglio, medico epidemiologo dell’Istituto nazionale salute migrazione e Povertà (Inmp). “Ma ci sono anche molte persone che hanno progetti migratori diversi e che quindi vogliono raggiungere paesi dove ci sono reti di parentela, contatti con altri connazionali e, in generale, condizioni più favorevoli”.
Una situazione ben fotografata dai dati sulle richieste di asiloriportate in Europa nel terzo trimestre del 2014: la maggior parte di esse proviene da siriani, eritrei e afgani e sono indirizzate soprattutto alla Germania (32%) e alla Svezia (16%). L’Italia è al terzo posto con il 10%, seguita da vicino dalla Francia (8%).
Inefficienza italiana
Altra immagine ricorrente è quella dell’incapacità italiana nel far fronte al fenomeno dell’immigrazione. Le cause? Le più disparate, dall’incompetenza alla disorganizzazione passando dall’opportunismo politico.
“Di certo ci sono diverse difficoltà, ma dal punto di vista dell’accesso ai servizi sanitari, l’Italia in realtà ha una normativa piuttosto avanzata” afferma Baglio. “Ricordiamo che già nel 1995 il nostro paese riconosceva anche agli immigrati irregolari la possibilità di accedere non solo al pronto soccorso, ma anche agli ambulatori specialistici”. Accesso ai servizi che si è rivelato uno degli elementi cruciali nelle strategie di gestione e prevenzione della salute.
Senza contare l’impatto avuto dall’operazione militare e umanitaria Mare Nostrum, lanciata il 18 ottobre 2013 con il duplice scopo di garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale di migranti. Nel corso di un anno, Mare Nostrum ha portato al salvataggio di circa 100mila persone e all’arresto di 728 scafisti.
Ma ci sono anche esempi più locali di efficienza. Uno di essi è quello che lo stesso Baglio ha raccontato in un convegno tenutosi a Roma il mese scorso. Si tratta di un piano di intervento socio-sanitario che ha coinvolto una rete composta dalle Asl, dall’Inmp, dal Comitato provinciale della Croce rossa, dai Medici per i diritti umani, dalla Caritas e da Cittadini del mondo. L’obiettivo era assicurare l’assistenza sociosanitaria di base e il supporto socialeai migranti in transito presenti in tre insediamenti romani già utilizzati da stranieri stanziali.
“Il sovraffollamento in questi insediamenti e le diverse esigenze dei migranti in transito ci hanno messi di fronte a un’emergenza inattesa”, ci dice Baglio. “Queste persone infatti, pur essendo portatrici di gravi bisogni sanitari e sociali, non si rivolgono spontaneamente ai servizi. Ciò implica un diverso tipo di assistenza, basata sull’offerta di prestazioni minime di primo livello, che richiede modelli operativi diversi da quelli applicati di solito”.
Grazie a una serie di équipe composte da medici, infermieri, specialisti dermatologi, operatori sociali e mediatori culturali, fra giugno e novembre del 2014 sono state effettuate 3.870 visite, corredate da un’attività di supporto sociale grazie alla distribuzione di beni di prima necessità.
“L’elemento innovativo di questo approccio è che questa rete territoriale di intervento si è sviluppata all’interno di un accordo formalizzato fra istituzioni pubbliche e private”, spiega Baglio. “Accordo che ha consentito di mobilitare tempestivamente risorse e competenze diversificate, favorendo l’offerta attiva e la collaborazione tra attori sanitari, sociali e della comunità”.
Untori da oltre il confine
“Nell’immaginario collettivo gli stranieri sono spesso percepiti come portatori di malattie esotiche”, dice Baglio. “Anche questo è un mito, poiché non considera il cosiddetto effetto del migrante sano. Si tratta di una sorta di selezione naturale all’origine: le persone che partono sono in genere giovani e con buone condizioni di salute. Il che è intuitivo, dal momento che molti di essi partono in cerca di un lavoro, spesso all’interno di progetti migratori che non sono solo individuali ma coinvolgono una o più famiglie, se non addirittura piccole comunità”. Senza contare che persone già malate in partenza avrebbero grosse difficoltà ad affrontare i viaggi lunghi e difficili che attendono i migranti.
“Questo effetto lo vediamo spesso, sia sui profughi sia, soprattutto, sui migranti economici”, continua Baglio. “Se poi guardiamo alle statistiche, le malattie di importazione sono assolutamente trascurabili nel quadro complessivo”.
A questo proposito, i dati sono esemplificativi: infezioni dermatologiche come scabbia o foruncolosi sono risultate essere le più frequenti (54,5%), seguite da quelle polmonari (19,6%). Malattie legate alle condizioni di marginalità e povertà in cui questi migranti si ritrovano una volta arrivati. “È la condizione che noi chiamiamo del migrante esausto”, spiega Baglio. “Le difficoltà in cui si trovano minano il loro stato di salute e li espongono a questo genere di malattie, che però contraggono qui e non sono quindi di importazione”.
Solo 21 casi (0,5%) di malattie infettive sistemiche sono stati segnalati nei sei mesi di attività del piano di intervento a Roma. Di questi, sette erano sospetti di tubercolosi ma, dopo gli accertamenti condotti nelle strutture ospedaliere, nessuno di essi è stato confermato.
“Noi la chiamiamo sindrome di Salgari”, conclude Baglio. “Proprio come Emilio Salgari descriveva posti che non aveva mai visto solo grazie alla sua fervida immaginazione, così adesso il mito del migrante untore si basa più sull’attitudine a lasciarsi trasportare dalle suggestioni che a riflettere sui dati di fatto. È un mito privo di fondamento”.
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