Il dato sulla produzione industriale italiana è semplicemente tragico: secondo l’Istat c’è stata una diminuzione dello 0,7 per cento su base mensile e del 2,2 per cento su base annua. Stando alle attese i due dati dovevano essere marginalmente positivi, con un dato mensile di 0,2 per cento e di 0,1 per cento su base tendenziale.
Non deve quindi stupire che Renzi abbia reagito male alla brutta sorpresa, non reagendo affatto e anzi ignorando il dato: il presidente del Consiglio ha iniziato a twittare e retwittare chiunque e qualunque cosa relativa alle riforme costituzionali, nella speranza (fondata) di distrarre giornali e opinione pubblica da una notizia oggettivamente pessima: si prega di non disturbare l’arcobaleno renziano, insomma.
Ad averne invece accennato è stato Filippo Sensi, capo dell’ufficio stampa di Matteo Renzi, probabilmente dopo aver visto che nella twittersfera qualcosa si stava muovendo dal lato sbagliato. Sensi, come spesso accade nei dintorni di Palazzo Chigi quando si tratta di faccende economiche, è stato evidentemente mandato allo sbaraglio.
Sensi accenna all’effetto ponte, ovvero alle aziende che restano chiuse per via delle festività. È la spiegazione che dà l’Istat, peraltro.
La spiegazione è abbastanza “divertente” perché fa finta di non vedere la realtà: se le aziende hanno deciso di tenere chiuse le serrande significa che non si aspettavano domanda per i loro prodotti, e quindi avrebbero tenuto aperto (spendendo denaro per manodopera e tutto il resto) per nulla. In altre parole, i consumi, nonostante gli 80 euro e tutti gli altri annunci, restano morti.
Peccato che i dati positivi di dicembre furono salutati con fanfare, nonostante fossero soggetti agli stessi problemi di “raffinazione” che cita Sensi. Infatti il dato di dicembre (superiore alle attese) è stato rivisto al ribasso. Anche il dato di gennaio dovrà essere raffinato: nelle prossime revisioni potrebbe essere rivisto leggermente al rialzo.
L’importante, come al solito, è sapere che cosa si sta guardando. O almeno sapere che cosa bisogna guardare. E in questi casi l’unica cosa che importa è il trend. Che, a voler essere ottimisti, è un coma, come mostra il seguente grafico.
A dar man forte (o man debole?) all’Istat arriva la Banca d’Italia, che registra l’ennesima flessione di prestiti e mutui al settore privato: il solito cavallo che non beve, si direbbe. Insomma, serve qualcosa di più di mancette e tweet di distrazioni di massa per tirare il Paese fuori dal guado: Renzi è in sella da oltre un anno, ma i risultati non si vedono. E c’è di peggio.
Altre previsioni, meno ufficiali, ma che si basano su metodologie che utilizzano i dati macroeconomici più recenti, mostrano che l’Italia potrebbe avere grosse difficoltà non solo nel primo, ma pure nel secondo semestre. La desolazione è anche peggiore se si nota che il Belpaese fa costantemente peggio dei suoi partner, ed è una tendenza che rischia di peggiorare.
La pessima partenza nel 2015 dell’industria italiana avrà probabilmente conseguenze sulla crescita italiana del primo trimestre, che governo e maggioranza hanno già salutato come trimestre di uscita dalla recessione (con un fantastico +0,1% di crescita sul trimestre precedente).
Peccato si tratti semplicemente di una previsione, i dati reali li conosceremo solo nei prossimi mesi, e secondo l’Istat la forchetta in cui il dato sarà compreso è fra -0,1% e +0,3%. Stando al pessimo dato della produzione industriale, a meno di un miracoloso rimbalzo nel resto del trimestre, c’è il rischio concreto di ritrovarsi dal lato sbagliato della forchetta.
Una crescita ferma, se non addirittura negativa, rischia di mettere il governo di fronte a una realtà per nulla piacevole, peraltro alla vigilia delle elezioni regionali (che si terranno a maggio, qualche giorno dopo il rilascio del rapporto Istat).
La speranza è che Renzi e Padoan riescano a rendersi conto che le critiche rivolte dai gufi, anche su queste pagine, non sono (non sempre, almeno) di malaugurio, e che non possono essere sepolte da una tempesta di tweet su una riforma della Costituzione che vedrà forse la luce fra mesi o anni, e che soprattutto avrà scarsissimo impatto sull’economia.
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