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Il saluto romano è reato, adesso sciogliamo i gruppi neofascisti

By   /  21 Maggio 2019  /  No Comments

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La Cassazione conferma: il braccio teso è “manifestazione di un’organizzazione politica perseguente finalità vietate”. Ora dovremmo occuparci di partiti e associazioni fuori dalla democrazia.

Così come il fascismo non è un’opinione, ma un’ideologia sconfitta dalla storia e vietata dalle leggi, anche il saluto romano non è un gesto praticabile. La ricreazione è finita, per amici, cugini e parenti lontani delle galassie nere, che abbiano o meno consapevolezza di ciò a cui dicono di credere. Se ce n’era bisogno, la Cassazione è tornata a ribadire come il saluto a mano tesa costituisca una “manifestazione esteriore tipica di un’organizzazione politica perseguente finalità vietate” sulla base della legge Reale-Mancino. Per questo, non può considerarsi fatto tenue e non punibile. Va condannata, specialmente se espressa in un luogo istituzionale come un consiglio comunale, nel caso specifico quello di Milano.

Dunque sentenza confermata a un mese e dieci giorni di reclusione, con pena sospesa (ma la fedina penale rimarrà irrimediabilmente sporca), per l’avvocato Gabriele Leccisi che l’8 maggio 2013 fece il saluto a palazzo Marino, durante una seduta pubblica della commissione consiliare che si occupava della sistemazione dei nomadi sgomberati alla fine del mese precedente dal campo di viale Ungheria. “A voce alta, presenti e ne siamo fieri” rispose l’uomo alla richiesta di un consigliere che domandava se vi fossero in aula gli organizzatori di una manifestazione di protesta organizzata lo stesso giorno in piazza San Babila. Contemporaneamente Leccisi, per giunta ripreso da una cronista, faceva il saluto fascista.

Ricorso respinto. Voleva l’esimente per tenuità del fatto, il legale. Al solito, tentando di nascondere le proprie intenzioni, aveva spiegato di essersi “limitato ad alzare solo la mano” per poter “segnalare la sua presenza”. Barzellette. I giudici della Suprema Corte hanno non solo confermato la condanna comminata in fase d’appello (comprensiva di 100 euro di multa) ma anche deciso il pagamento delle spese processuali. Le motivazioni della Corte d’Assise sono quindi corrette: il saluto era riconducibile a una “precisa volontà tesa a rivendicare orgogliosamente il suo credo fascista”. Specialmente considerando “le circostanze di tempo e luogo”. Non era in casa con gli amici ma nella casa di tutti i milanesi.

Il punto è che, semplicemente, in Italia non si può essere fascisti. Lo si può forse essere nel proprio intimo, e senz’altro cercare – sulla scheda elettorale – gli schieramenti ai quali è spesso consentito, vedi lo scandalo CasaPound, il privilegio di competere alle urne nonostante la rivendicata, radicata e consolidata professione di fede neofascista e xenofoba, nella teoria e nella pratica. Ma non si può andare in giro a fare il saluto fascista perché, come spiega la sentenza 21409 appena depositata e relativa all’udienza dello scorso 27 marzo – “costituisce una manifestazione gestuale che rimanda all’ideologia fascista e ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza”.

Devono mettersi l’anima nera in pace, quelli che sfigurano i diritti a proprio piacimento. Non si tratta infatti di un discorso di libertà di espressione e manifestazione del pensiero e le inutili ciarle fioccate intorno al Salone del libro di Torino sono spazzatura intellettuale: quella libertà non è assoluta ma termina in modo insindacabile, scrivono gli ermellini, “quando trasmoda in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista”. Fine, il dibattito è chiuso e le ciance delle scorse settimane dei picchiatori professionisti non possono ribaltare questi punti fermi della convivenza civile in Italia. C’è chi sta dalla parte giusta, del libero confronto di idee anche estreme e discutibili, e c’è chi sta nel crimine. Se una condanna viene confermata, infatti, significa che si è trattato di un gesto vietato dalla legge.

Non solo. Sulla scorta di queste sentenze occorrerebbe tornare a valutare l’urgenza di sciogliere le associazioni e i partiti di chiara ispirazione neofascista, un’intollerabile eccezione nell’ordinamento democratico. Proprio l’Alta Corte spiega infatti che quel saluto è “usuale di organizzazioni o gruppiinequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”. Se sanzioniamo un loro tipico gesto, insomma, dovremmo impedire l’attività anche a quelle organizzazioni che ne vanno fiere senza farci impaurire da ricatti sociali e dagli avvelenatori di professione.

Le indagini sui 65 indagati di CasaPound e Forza Nuova per i disordini di Torre Maura e Casal Bruciato delle scorse settimane a Roma saranno dirimenti per capire il prossimo futuro di questo Paese. Fra le ipotesi di reato ci sono odio razziale, violenza privata, minacce, adunata sediziosa, rapina e apologia di fascismo. In base a tutto ciò che abbiamo visto in questi mesi, l’art. 1 della legge Scelba è da tempo superato. Sciogliamo i gruppi neri e puniamo i responsabili.

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