Erano quasi le 18:00 del 23 maggio 1992. Il giudice Giovanni Falcone, direttore della sezione Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia, era da poco atterrato all’aeroporto di Punta Raisi insieme alla moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. Si dirigeva verso Palermo, accompagnato dalla sua inseparabile scorta e con il suo solito sorriso sul volto.
Tutto sembrava tranquillo lungo l’autostrada A29. All’altezza dello svincolo di Capaci, però, la Fiat Croma marrone, con a bordo gli agenti della scorta, salta in aria. Subito dopo tocca anche all’auto del magistrato e della moglie Francesca, con l’autista Giuseppe Costanza rimasto vivo quasi per miracolo. Un’esplosione radiocomandata da Cosa Nostra per uccidere 5 persone di grande coraggio e spessore. Infatti, nell’attentato di Capaci, oltre ai coniugi Falcone, rimasero uccisi anche tre agenti della scorta. Antonio Montinaro, 30 anni di Calimera (Le), arruolato in Polizia dal 1981 e assegnato al Servizio Scorte nel 1991, che lasciò la moglie e due figli. Vito Schifani, 27 anni di Palermo, arruolato in Polizia dal 1989 e assegnato al Reparto Scorte nel dicembre del 1991, che lasciò la moglie e un figlio di pochi mesi. Rocco Di Cillo, 30 anni di Triggiano (Ba), diplomato in chimica industriale e arruolato in Polizia dal 1988. Altri tre poliziotti si trovavano sull’auto che chiudeva la scorta e che sono, fortunatamente, scampati alla strage. Questi i loro nomi: Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. La ricomposizione e l’identificazione dei corpi delle vittime, estratti dopo un lungo lavoro dei vigili del fuoco, sono stati gli aspetti più difficili e penosi. Subito dopo l’attentato l’autostrada appariva come il cratere di un vulcano.
A 22 anni di distanza, è doveroso non dimenticare chi ha fatto capire, con il prezzo della propria pelle, a Palermo e a tutti i Palermitani cosa fosse davvero la Mafia. Prima di quel giorno Cosa Nostra era vista come un’organizzazione fittizia che regolava i conti al suo interno per la gestione degli affari della città. In questo modo tutti “campavano” meglio. Dopo quel 23 maggio, Palermo si rese conto di cos’era davvero la Mafia. Un’associazione a delinquere priva di scrupoli, pronta ad eliminare sanguinosamente chiunque ne ostacolasse l’operato.
Gaetano Pisano
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