La decisione della Svizzera di sganciarsi da una parità valutaria fissata con la moneta unica è indice della perdita di credibilità della stessa.
DI KIRIOS DI SANTE – 16 GENNAIO 2015
La decisione giunge insaspettata, À rebours. La Banca centrale svizzera ha deciso di eliminare quel tetto che impossibilitava una valutazione del franco al di sopra di una determenita soglia, fissata in riferimento alla moneta unica: il cambio franco-euro non poteva superare il valore di 1,2. Tale manovra, introdotta nel 2011, mirava ad evitare un eccessivo apprezzamento della valuta nazionale, scaturiente dall’ irrefrenabile domanda degli investitori terrorizzati dalla crisi dell’eurozona. Tutti domandavano franchi, e la legge della domanda non fa sconti alle valute: se una valuta è richiesta il suo prezzo cresce, ovvero si apprezza. Una valuta forte è meno incline alle esportazioni, il saldo commerciale peggiorerà così come la situazione finanziaria del Paese (le passività nel conto finanziario aumentaranno, poichè se importi e non hai soldi qualcuno te li dovrà pur prestare). Si arrivò a tale decisione dopo che la Svizzera diede aperture sulla questione del segreto bancario: il settore creditizio svizzero ha un valore di 2,2 mld di dollari, ed è sede del 26% dei patrimoni offshore mondiali (1). Ciò fa si che la richiesta di franchi sia altissima, in modo tale da depositare capitali lontano dagli occhi indiscreti dei sistemi fiscali domestici. Perchè la Svizzera cominciò a dare aperture su questa tematica? E’ chiaro, poichè l’apprezzamento stava diventando insonstenibile per l’economia reale.
Non a caso, per evitare che i grandi investitori come gli istituti di credito dirottassero ingenti quantità di capitali nel sistema, accentuando così il trend al rialzo del franco, i tassi di interesse sui fondi delle banche depositati presso la Banca nazionale svizzera si sono ulteriormente abbassati allo -0,75% (erano già negativi). E’ strano come i media stiano parlando delle potenziali conseguenze catastrofiche che l’apprezzamento del franco siano gli stessi che difendano strenuamente, quasi fosse una nuova patria, la moneta unica. A parer loro, l’impatto sulle esportazione di una valuta eccessivamente forte è subordinabile quando si parla dell’euro, una valuta trascendentale alla ordinaria letteratura scientifica. Sicuramente non è questo il punto. Perchè la Svizzera ha deciso di lasciar fluttuare il cambio affibbiandosi il rischio di uno stroncamento del suo export? Export che, a differenza del pensiero comune, non è costituito soltanto da orologi e cioccolata: la Compagnie Financière Richemont è la holder di brand come Cartier e Montbalc.
Il plafond valutario è molto più semplice da difendere rispetto ad un normale cambio fisso. Prendiamo ad esempio il caso del cambio fisso dollaro-peso: il peso argentino, in questo scenario, appariva notevolmente sopravvalutato, costringendo la Banca centrale ad una strenua difesa sacrificando le riserve di valuta pregiata (estera) per supportare l’acquisto della sua valuta domestica. La Banca centrale svizzera, invece, doveva difendere un cambio sottovalutato: le bastava comprare euro in cambio di franchi in modo tale che la domanda spingesse in alto il prezzo della valuta unica. La fonte di sostenibilità del cambio non stava nelle sue riserve di valuta straniera: alla Svizzera bastava stampare franchi, operazione attuabile ad infinitum (è la natura stessa di una Banca centrale stampare moneta, Bce a parte). Il problema risiede nel fatto che tale parità fu stabilità in un momenti in cui l’euro era molto più valutato rispetto ad oggi: è notizia quotidiana dell’apprezzamento del dollaro sulla moneta unica, complice la forte ed inaspettata crescita economica degli Usa nell’ultimo trimestre. Laddove però l’euro precipita sul dollaro, questa parità non è più fisiologica per una moneta come il franco: se già quel tetto lo rendeva sottovalutato, ora che l’euro continua a scendere sarebbe ridicolo per la valuta svizzera scendere con lui. Ricordiamoci che il tasso di cambio deve essere espressione dell’economia interna e non dell’economia tedesca, come si vuole far credere. Ma se l’euro perde colpi con il dollaro, vuol dire che la sua domanda continua a cadere: gli operatori sono spaventati da un eventuale canto del cigno dell’eurozona e corrono ai ripari oltreoceano, dove la Fed garantisce puntualmente liquidità. La decisione della Bns non è quindi indice che nell’eurozona sia tutto finito: complice la lontananza dall crisi del 2008, ora anche gli Stati Uniti sono in grado di accorparsi fughe di capitali da quella nave a picco chiamata moneta unica europea.
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