Finalmente l’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati ha dato il via libera al tanto atteso tetto agli stipendi dei propri dipendenti, che ricalca quello già stabilito dal governo qualche mese fa per i manager pubblici: 240 mila euro lordi all’anno. Almeno questo è ciò che trapela dagli ambienti ufficiali.
In realtà le cose non stanno esattamente così: tanto per cominciare non ci sarà un taglio di punto in bianco degli emolumenti (come invece è avvenuto per il capo della Polizia, che con un tratto di penna è passato da 600 mila a 240 mila), visto che il livellamento sarà diluito in ben 4 anni, arrivando a “stabilizzarsi” solo nel 2018.
In secondo luogo, non è nemmeno vero che tutti i dipendenti di Montecitorio arriveranno a quel livello di stipendio (che ricordiamolo sempre, è pari a quello del Presidente della Repubblica e quasi doppio rispetto a quello del presidente del Consiglio). Come riporta il Messaggero, nel conteggio non sono ricompresi i contributi e le indennità, con il risultato che lo stipendio del Segretario Generale della Camera scenderà, dagli stratosferici 480 mila euro circa attuali, alla comunque rispettabilissima somma di 360 mila.
Ancora, il taglio non sarà uguale per tutti, visto che la revisione prevede ben sei diversi livelli salariali a seconda delle mansioni svolte all’interno dell’emiciclo. Superfluo sottolineare come, anche quelli che dovrebbero essere i lavori meno qualificati, le retribuzioni sono lontani anni luce dalla realtà: i barbieri, ad esempio, da gennaio percepiranno uno stipendio di 99 mila euro lordi contro gli attuali 136 mila, mentre per i collaboratori tecnici si prevede un tetto di 106 mila euro contro gli attuali 152 mila.
Insomma, niente di traumatico. Eppure la moderazione del governo non è stata sufficiente a sedare l’assurda protesta delle ben 21 (dicasi 21) sigle sindacali di categoria, che hanno addirittura minacciato di rivolgersi alla magistratura. “È falso – spiegano – dire che non ci sentiamo in dovere di fare la nostra parte. La possibilità di discutere le nostre proposte ci è stata completamente negata, come quella di avanzare controproposte. Risulta incomprensibile – aggiungono i sindacalisti – soprattutto la ragione per la quale si vorrebbe negare un trattamento analogo a quello applicato ai dipendenti del Quirinale (tetto di 240mila euro e contributi straordinari) il cui recepimento è stato pure richiesto dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni sindacali”.
Parole che lasciano interdetti e che contribuiscono ad alimentare, come se ce ne fosse bisogno, il clima di antipolitica e di disgusto per la “casta”. Anche alla luce del fatto che il provvedimento non arriva dall’oggi al domani. Anzi, le trattative con i sindacati sono andate avanti anche per troppe settimane: cosa già di per se anomala, per un governo e soprattutto un premier che con i rappresentanti dei lavoratori hanno un rapporto quantomeno frizzante.
Evidentemente non è bastato: attendiamo a giorni manifestazioni in piazza con bandiere, striscioni e caroselli per la difesa dei nuovi “proletari“.