Sulle pagine del Washington Post un invito a riflettere sul reale pericolo di ebola a oggi nel mondo occidentale. Il rischio di epidemia è trascurabile, mentre non lo è quello dell’influenza.
Con circa 9.000 contagi in Africa, un numero di morti intorno ai 4.500, la prima vittima in Germania, e i contagi negli Usa, ebolaè di fatto diventata una paura globale. Ma non lo ha fatto solo raggiungendo numeri preoccupanti, lo ha fatto soprattutto uscendo dall’Africa, anche se è lì che ancora rappresenta una vera emergenza. Perché le probabilità che negli Usa o in Europa si verifichi quanto sta succedendo laggiù sono davvero basse, come vi avevamo raccontato e come ha ricordato anche l’Oms. Ci dovremmo preoccupare piuttosto dell‘influenza.
A lanciare la provocazione – ma neanche così tanto campata in aria – è Ruth Marcus sulle pagine del Washington Post. La tesi di fondo non è quella di sminuire la portata del problema, ma un invito a riflettere su quello che ci fa paura e che non rappresenta a oggi un pericolo così reale e quello che invece lo è e non ci preoccupa.
Perché ebola ora, per gli Usa e se vogliamo per l’Europa, non è la catastrofe che sta invece flagellando l’Africa. A oggi, per il mondo occidentale, il virus rappresenta piuttosto una sfida ai protocolli di prevenzione, la conseguenza di un mondo superconnesso e non da ultimo, scrive Marcus, un campanello d’allarme sui pericoli del lassismo di fronte a una malattia mortale. Temere un’epidemia mentre due rappresentanti del personale sanitario sono stati sfortunatamente infettati è ignorare il contesto.
Ma quello che facciamo con ebola lo facciamo anche con il resto: temiamo un’incidente aereo e non ci preoccupiamo del ben più probabile incidente automobilistico, abbiamo paura di nuove malattie e non consideriamo abbastanza quali siano le conseguenze dell’obesità o del fumo.
Così, tornando ai virus, sarebbe più ragionevole preoccuparsi dell’influenza che di ebola, perché temere un’improbabile epidemia non significa ignorare eventi decisamente più probabili. Il perché è scritto nei numeri. Le stime dell’Oms parlano infatti di circa 3-5 milioni di casi di influenza grave ogni anno, con 250 mila fino a 500 mila morti. E malgrado questo, continua Marcus, quelli che si sottopongono alla campagna di prevenzione vaccinale, almeno negli Usa, sono pochi: molti quelli che non ne sentono bisogno o semplicemente dichiarano di non aver avuto tempo, quando invece, pur non essendo infallibile, può proteggere dalla malattia. “Smettiamola di preoccuparci di qualcosa di improbabile. Facciamo qualcosa per ciò che è prevedibile”, conclude Marcus.
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