A parlare al processo contro il cronista di Telejato è uno smemorato Gioacchino Polizzi, che non ricorda nulla di un’intercettazione chiave alla base delle contestazioni mosse al giornalista. «Lui non mi ha fatto mai niente, l’ho anche detto alla procura»
«Io affittato case? Io ceduto magliette gratis? Io non ho mai fatto queste cose». Scuote la testa e lo ripete a più riprese, Gioacchino Polizzi. Smontando, in un certo senso, il castello di accuse messo in piedi dalla procura contro Pino Maniaci, giornalista di Telejato sotto processo per tentata estorsione e diffamazione. In passato assessore al Comune di Borgetto, Polizzi è stato anche indagato per 416bis e poi archiviato dalla procura di Palermo. L’indagine mirava a fare chiarezza su alcune procedure risultate anomale e irregolari soprattutto nell’ambito della gestione dei rifiuti, e che di fatto hanno portato la prefettura palermitana a sciogliere il Comune per infiltrazione mafiosa. Polizzi viene tirato in ballo per via di un legame di parentela con il capomafia locale Giuseppe Giambrone: «Le risultanze investigative non hanno accertato un aiuto concreto, un contributo decisivo per il rafforzamento dell’organizzazione mafiosa», si legge nel decreto di archiviazione.
«Minacce da parte di Maniaci? No, assolutamente no, mai subito niente. Né ho mai subito richieste estorsive da parte sua», continua a dire Polizzi. Negando, di fatto, quanto invece ricostruito dall’accusa. «L’ho detto anche alla procura, non ho mai subito niente di niente da parte sua», ribadisce lui. Eppure, agli atti del processo c’è una sua telefonata intercettata che per la pm Amelia Luise sarebbe inequivocabile. È marzo del 2015 e all’altro capo del telefono con lui c’è Giuseppe Davì, sindaco pro tempore di Borgetto. A chiamare è l’ex assessore, che si sfoga con Davì perché in un servizio andato in onda su Telejato sarebbe stato accusato di essere un mafioso. Uno sfogo che lo porta a raccontare anche altri particolari del suo rapporto con Maniaci.
«Ha voluto duemila euro di magliette gratis e ha voluto tre mesi di casa in affitto che l’ho pagata io di tasca mia… questa è estorsione…pura estorsione…Vattene da Pino Maniaci – diceva, rivolgendosi proprio a Davì per telefono -, perché succede la terza guerra mondiale, non faccio passi indietro. Lui è mafioso – alludendo al giornalista -, ha fatto estorsione nei miei confronti, io lo denuncio, prendo dieci avvocati, appena fa il mio nome…io te lo sto dicendo e vi tiro a tutti in ballo, non mi disturbate». Tutte frasi che, a risentirle oggi, sembrano non dire proprio niente a Gioacchino Polizzi. Che dichiara a più riprese di non avere alcun ricordo di quella famosa telefonata con Davì. «Io non sono proprietario di nessuna casa, cosa posso avergli mai affittato?» dice in aula . E quelle duemila magliette? «Hanno un costo, non parliamo di una o dieci magliette, non so quale fosse il senso della telefonata, non me lo ricordo. Ma non ho mai subito neppure alcuna imposizione da Maniaci».
La pm prova a insistere, a scavare nei suoi ricordi. Continua a rileggere quelle trascrizioni, continua a domandare: «”Mi ha obbligato a dargli la casa. Mi ha obbligato a fargli le magliettine”, che significano queste frasi?», ma Polizzi si limita a scuotere la testa e a dire con un filo di voce soltanto «no, no». «Lui non mi ha fatto nessuna estorsione, magari mi è scappato, ma non mi ha fatto mai nulla. Io parentele coi mafiosi non ne ho – dice poi -, sono parente con mia moglie e basta. Magari mi sono risentito per qualche servizio, per qualche allusione a parentele e cose simili, può essere che mi sono arrabbiato, ma non mi ricordo più, sono passati degli anni. Forse certe cose le ho dette per rabbia. Mi ricordo gli attacchi di Telejato alla giunta di Borgetto, ma erano contro tutti, parlava in generale. A me lo raccontavano, io non guardavano Telejato, io lavoravo». Quella telefonata potrebbe quindi essere stata solo uno sfogo in preda alla rabbia del momento? O, addirittura, potrebbe aver detto delle cose non vere? «Può essere», risponde secco Polizzi alla domanda degli avvocati della difesa.
Dopo le negazioni e i «non ricordo» dell’ex assessore, a prendere il suo posto sul banco dei testimoni è Pietro Polizzi, che in passato aveva un’agenzia pubblicitaria. «Io e Maniaci ci siamo conosciuti tanto tempo fa, abbiamo anche collaborato, compravo la pubblicità da loro e poi la rivendevo. La pubblicità si vendeva a 300 euro più Iva, era la mensilità, cioè i trenta giorni in cui andava in onda la pubblicità. Questa collaborazione è durata almeno fino al 2016, andava avanti da oltre dieci anni, e abbiamo sempre avuto ottimi rapporti». Anche lui, insomma, in tanti anni sembra non aver mai subito alcuna richiesta estorsiva o minacce dal giornalista con cui ha collaborato gomito a gomito. Così come, sempre durante il processo, sarebbero emerse già un anno fa alcune incongruenze anche rispetto alle presunte richieste estorsive che sempre Maniaci avrebbe rivolto all’allora sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca.
Fonte MeridioNews
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