È la moda, la nuova frontiera del sostenibile.
Anche in questo settore si è riscontrato un urgente bisogno di “correre ai ripari”. L’inquinamento ambientale generato dalle industrie tessili, infatti, non ha nulla da invidiare a quello prodotto da un’acciaieria. Un ciclo produttivo condotto con metodi non eco-friendly si traduce in sostanze pericolose (ad esempio etossilati di nonilfenolo (NPE), ftalati, composti perfluorinati, antimonio) contenute nei nostri indumenti.
Alta moda non sempre è sinonimo di qualità: anche i nostri insospettabili Dolce & Gabbana e Versace sono stati accusati da Greenpeace di aver messo in commercio capi d’abbigliamento tossici. In questo caso a pagare il prezzo (monetario e non) più alto non sono solo i consumatori, ma anche il Pianeta.
Contro questo inganno, si stanno muovendo numerose organizzazioni mondiali con lo scopo di sensibilizzare le grandi multinazionali della moda (dal luxury al low-cost) all’uso di materie prime certificate, fibre naturali biologiche o provenienti dalla catena del riciclo. I risultati cominciano a farsi vedere: H&M ha iniziato una campagna di raccolta di abiti usati, che i consumatori potranno consegnare in qualsiasi negozio della catena e ricevere in cambio un buono sconto sugli acquisti effettuati. Alcuni capi di questi verranno reimmessi sul mercato dell’usato, altri trasformati in prodotti diversi come stracci per le pulizie, altri ancora per realizzare materiali assorbenti o isolanti per l’industria automobilistica, o addirittura per produrre energia. Sulla stessa scia, si stanno adoperando anche Intimissimi e OVS, con l’obiettivo di ridurre le tonnellate di indumenti che ogni anno gettiamo nelle discariche, impattando sull’ambiente.
La vera novità sono i negozi d’abbigliamento esclusivamente green, come Greenlife(con filiali a Pisa, Firenze e Lucca)e Alta Rosa(specializzato in abiti da sposa). Per non parlare poi del primo corso di laurea in moda sostenibile, lanciato lo scorso anno in Gran Bretagna alla Buckinghamshire University, con lo scopo di insegnare a costruire delle alternative creative, studiando quelle di successo in tutto il mondo e ipotizzandone di nuove. Sono richieste infatti nuove professionalità in grado di guidare i grandi brand che stanno rivoluzionando la propria attività, volgendola al sostenibile.
I materiali considerati eco-friendly sono il cotone, la canapa, la juta, il bambù, l’ortica. Oltre a questi, viene adoperato il jacroki: innovazione nata dalla lavorazione di scarti e rifiuti e utilizzata in settori come arredamento, pelletteria, cartotecnica. Anche la plastica che ricicliamo in casa viene abilmente trasformata in maglioni, moquette; se unita alla la
na può dar vita a sciarpe e golf. Addirittura anche gli oggetti più impensabili come carte di credito, tappi di bottiglie, Barbie, potremmo indossarli come gioielli, in seguito ad un accurato processo di modificazione. Come risaputo, anche la carta torna utile: fazzoletti, scontrini, francobolli, giornali vengono ridotti in gomitoli lavorabili con i ferri da maglia e il colore degli abiti è dato esclusivamente dal colore della carta utilizzata.
Un prodotto per dirsi ecosostenibile deve essere:
Realizzato in loco- Dal design semplice
- Durevole
- Formato da materiali naturali e riciclabili
- Avere un packaging ridotto all’essenziale
Basterebbe quindi rispettare questi punti, adattarsi agli standards dettati dalla GOTS(Global Organic Textile Standard), agire con una massiccia dose di buon senso e…”les jeux sont faits!”
Lorella Accardo
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