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Perché in inverno ci si ammala di più (anche di Covid). Come proteggersi

By   /  27 Ottobre 2020  /  No Comments

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Respirare aria secca in casa e fredda all’esterno blocca il meccanismo di difesa delle prime vie aeree che è costituito dalle cellule «cigliate» che si trovano nella trachea. Usare umidificatori per gli ambienti e uscire con bocca e naso coperti può aiutarci a combattere meglio i virus (innanzitutto Covid e influenza)

Il SARS-CoV-2 non sembra essere influenzato particolarmente dalla stagionalità come altri virus respiratori (lo dice anche un recente studio su Nature), infatti ci si può ammalare anche in estate (è successo in varie parti del mondo), ma siamo noi a essere più deboli in inverno: durante la stagione fredda, infatti, siamo più esposti nei confronti dei virus a trasmissione aerea, come il SARS-CoV-2. Ecco perché.

Il freddo paralizza le cellule «cigliate»

Ammalarsi in inverno di un virus che attacca le vie respiratorie è più facile. E lo è anche per il coronavirus. L’ambiente invernale promuove la diffusione di una varietà di infezioni da virus respiratori. I due principali fattori che contribuiscono sono i cambiamenti nei parametri ambientali (in particolare la temperatura e l’umidità) e nel comportamento umano (la frequentazione maggiore di spazi chiusi). Umidità assoluta e umidità relativa influenzano l’importante meccanismo di difesa del nostro apparato respiratorio chiamato clearance mucociliare: le cellule “cigliate” che si trovano nella trachea e che sono deputate a spostare verso l’esterno il muco, che ingloba polveri e minuscoli corpi estranei, compresi virus e batteri, penetrati nelle vie aeree. Il freddo paralizza il movimento di queste “ciglia” e di conseguenza il muco ristagna con tutta la sua carica virale o batterica. L’effetto negativo del freddo sulla clearance mucociliare è amplificato dallo sbalzo termico che si verifica nel passaggio dall’ambiente interno molto caldo e quello esterno particolarmente gelido (ma anche viceversa). 

Lo studio da Yale 

Non è solo il freddo a bloccare il movimento che ci protegge: l’umidità ha un notevole impatto perché quando scende troppo (o sale troppo) blocca l’azione delle le cellule “cigliate”, come ricordato in una revisione di studi pubblicata a settembre su Annual Review of Virology. Nello studio, condotto a Yale, si riassumono i fattori che spingono la stagionalità dei virus infettivi, focalizzandosi sull’umidità assoluta (AH) e relativa (RH). I valori dell’umidità assoluta esprimono la quantità di vapore acqueo presente nell’aria, di solito in grammi per metro cubo. Quello che incide sulla percezione di un’aria respirata secca o umida è invece l’umidità relativa (il rapporto tra la densità del vapore contenuto nel volume di aria e la densità massima che questo volume può contenere). Possiamo avere lo stesso valore di umidità assoluta, ma a zero gradi l’ambiente può avere il 100% di umidità relativa (nebbia), oppure, a una temperatura di 30 gradi, centigradi la stessa umidità assoluta ci fa arrivare a un 15% di umidità relativa che per noi rappresenta un caldo secco e asciutto di solito piacevole. 

L’aria secca non fa bene 

Questo per dire che in inverno la temperatura esterna influenza quella degli spazi chiusi: quindi un’umidità assoluta bassa fuori si traduce in bassa umidità relativa interna e la bassa umidità blocca le nostre difese: la classica “gola secca” è espressione del blocco del meccanismo delle cellule “cigliate” e quindi della maggior suscettibilità delle persone all’attacco dei virus respiratori. Il virus dell’influenza, il coronavirus umano e il virus respiratorio sinciziale umano (RSV) mostrano chiaramente i picchi di incidenza nei mesi invernali, ci ricorda lo studio Usa, come anche il virus della parainfluenza (PIV). Le varie ricerche in merito indicano che alta umidità relativa (> 60%) e bassa(<40%) favoriscano la vitalità dei virus influenzali nelle goccioline respiratorie emesse da soggetti infetti, mentre in condizioni di umidità relativa intermedia (dal 40% al 60%) i virus vengono inattivati. La trasmissione virale era generalmente più efficiente a 5 ° C rispetto a 20 ° C indipendentemente dal altri fattori. «A differenza delle regioni temperate, le infezioni respiratorie hanno poca stagionalità nelle regioni tropicali. Uno studio incentrato su questo aspetto ha mostrato che non è stata osservata alcuna trasmissione di aerosol a 30 ° C con qualsiasi umidità, nonostante la trasmissione per contatto fosse più diffusa e paragonabile a 30 e 20 ° C. Pertanto, una temperatura ambiente elevata probabilmente nega l’effetto dell’umidità sulla trasmissione dell’influenza nelle zone tropicali», si legge nello studio. 

Attenzione a respirare aria fredda 

Pertanto, un’umidità ideale per prevenire la trasmissione virale respiratoria da aerosol a temperatura ambiente sembra essere compresa tra il 40% e il 60% di umidità relativa. L’inalazione di aria secca provoca la perdita immediata delle ciglia epiteliali delle vie aeree, il distacco delle cellule epiteliali e l’infiammazione della trachea delle cavie. L’inalazione di aria fredda, che è sempre secca a causa della limitata capacità di accumulo d’acqua dell’aria fredda, provoca il deterioramento del meccanismo di difesa mucociliare. Uno studio sull’effetto della temperatura ambiente sulla frequenza del battito ciliare delle cellule ciliate nasali e tracheali isolate da soggetti umani ha mostrato che il battito mucociliare inizia a diminuire quando la temperatura scende al di sotto di 20 ° C e non è più osservato a 5 ° C, perché il freddo altera i meccanismi di difesa antivirale. In inverno e in ambienti interni secchi le vie aeree si difendono meno. 

Sciarpa e umidificatori 

Come possiamo aiutare le vie aeree a reagire meglio? Sostanzialmente, anche se sembra banale, proteggendo (e scaldando) il naso all’aperto (con sciarpa, ma anche in questo periodo, mascherina) e utilizzando umidificatori di aria in casa, senza tenere i riscaldamenti altissimi. «Tali interventi con umidificatori sono stati realizzati a partire dagli anni ‘60 con risultati promettenti», specifica lo studio di Yale. «Più recentemente – aggiunge – , uno studio nel Minnesota ha rilevato che l’umidificazione delle aule prescolari da gennaio a marzo fino a circa il 45% di umidità relativa si traduce in una significativa riduzione del numero totale di virus influenzali e di copie del genoma virale trovati nell’aria e sugli oggetti». La sciarpaserve quindi a garantire il funzionamento ottimale dell’apparato mucociliare tenendo al caldo le vie aeree, gli umidificatori di ambienti servono a non seccare troppo l’aria interna (bene anche gli umidificatori da calorifero). Infine, anche aprire le finestre e ventilare gli ambienti (oltre che a favorire il ricambio dell’aria) aiuta a stabilizzare le condizioni di umidità relativa in casa o negli uffici. 

Il Covid-19 non è stagionale 

Ovviamente nel caso del recente Covid-19 non sono solo umidità e temperatura le variabili in gioco (come detto all’inizio): la trasmissione tra persone avviene in qualsiasi momento dell’anno e piuttosto dipende anche dalla durata del contatto con un soggetto positivo, dalla vicinanza, dall’ampiezza degli spazi e da quanto le persone si proteggono con le mascherine e le altre misure che conosciamo. L’inverno però, per i meccanismi descritti, può facilitare l’ingresso dei virus e indebolire i nostri meccanismi di difesa.

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