Negli ultimi mesi gli episodi di demonizzazione nei confronti degli immigrati si sono fatti sempre più frequenti. Complice anche l’avanzare imperterrito della crisi e la diffusione del virus Ebola, la diffidenza verso tutto ciò che non è italiano si è trasformata in intolleranza e, in qualche caso (vedi disordini di Tor Sapienza) in vera e propria caccia all’uomo. Eppure, basterebbe soffermarsi sui numeri, che non hanno colore politico, per capire come invece l’immigrazione rappresenti una ricchezza, soprattutto in un paese anziano come l’Italia.
Come riportato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, il contributo degli immigrati regolari alle casse dello Stato è importante, soprattutto in tempi di crisi: circa 3,9 miliardi all’anno. I dati, contenuti in due dossier della Fondazione Moressa e de lavoce.info, raccontano dunque un’Italia molto diversa da quella dipinta da alcuni politici padani. In particolare, piuttosto che “rubare il lavoro agli italiani”, gli immigrati molte volte lo creano, o lo mantengono, anche per gli italiani: nel 2013, ad esempio, ben 497mila imprese sono state fondate o rilevate da cittadini stranieri. Com’è possibile? Basta guardarsi intorno e rendersi conto di quante realtà industriali ed esercizi commerciali una volta in mano a italiani sono passate sotto il controllo dei cinesi.
Più imprese e più lavoro, quindi più tasse: l’anno scorso i contribuenti nati all’estero sono stati poco più di 3,5 milioni e “hanno dichiarato redditi per 44,7 miliardi di euro (mediamente 12.930 euro a persona) su un totale di 800 miliardi di euro, incidendo per il 5,6% sull’intera ricchezza prodotta”.
Anche sul fronte IVA, i dati che arrivano da Moressa e lavoce.info sono molto interessanti, in quanto in totale controtendenza rispetto a quelli dei connazionali. Le famiglie straniere, infatti, hanno una propensione al risparmio pari a zero, spendono quasi tutto ciò che guadagnano e contribuiscono, di conseguenza, a impattare il crollo dei consumi. “Una recente indagine della Banca d’Italia ha evidenziato come la propensione al consumo delle famiglie straniere sia pari al 105,8%: vale a dire che le famiglie straniere tendono a non risparmiare nulla, anzi ad indebitarsi o ad attingere a vecchi risparmi. Ipotizzando che il reddito delle famiglie straniere sia speso in consumi soggetti ad Iva per il 90% (escludendo rimesse, affitti, mutui e altre voci non soggette a Iva), il valore complessivo dell’imposta indiretta sui consumi arriva a 1,4 miliardi di euro” si legge nelle relazioni.
Ma se danno così tanto, quanto prendono? Anche qui i dati sono sorprendenti, visto che, sia sul fronte della sanità che su quello della giustizia, l’impatto degli immigrati non è affatto esorbitante. Lo è di più sul fronte dell’istruzione, visto che l’incidenza dei bambini nati da coppie straniere è arrivata all’8,4% del totale.
Ad ogni buon conto, confrontando entrate e uscite “emerge come il saldo finale sia in attivo di 3,9 miliardi”. Altro che peso per la comunità: gli immigrati, oltre a contribuire ad abbassare l’età media del paese (gli italiani sono sempre più vecchi), si fanno sentire anche per tutta una serie di lavori che noi non facciamo più. Si pensi solamente a quante colf e badanti si prendono cura dei nostri anziani, i quali, altrimenti, sarebbero abbandonati a loro stessi e dovrebbero essere presi in carico dallo Stato. Con un’inevitabile lievitazione dei costi. Insomma, i problemi ci sono ed è inutile negarlo, ma da qui a dire che l’Italia con gli immigrati ci rimette, ce ne corre. Anzi, casomai è proprio il contrario. Con buona pace di Salvini e compagnia.
Fonte -IBT-
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