Dice, una donna che ti porteresti a cena. E uno già s’immagina florilegi di Rihanna e Shakira e Beyoncé, e Scarlett Johansson e Jennifer Lawrence ed Emma Watson, e stelle e stelline del pop e del cinema. Sì vabbe’, tutte bellissime quanto irraggiungibili, però io preferirei Silvia Bencivelli. E magari tu mi chiederesti di chi si tratta.
Che poi l’Italia è un paese ben strano, almeno se lo guardi in tivù. Da un lato ci puoi trovare roba tipo Le Iene, in cui le inchieste servono a intervallare gli stacchetti della bionda in minigonna, epperò conosco anche gente mediamente istruita lo scambia per un programma d’informazione. D’altro canto neppure le trasmissioni d’approfondimento, prendi Che tempo che fa, pare possano prescindere dalla presenza di una rappresentante del gentil sesso che pare piazzata lì giusto ad abbellire lo studio, rigorosamente inanimata manco fosse un quadro di Miró.
Dev’essere stato per questo che Silvia Bencivelli m’ha colpito subito quando l’ho beccata su Presa Diretta a intervistare un qualche personaggio più o meno furfantesco. Pensante, parlante, affascinante. Per le nostre abitudini televisive, stravolgente.
Me n’ero anche appuntato il nome da qualche parte, ne sono sicuro, ma giusto il tempo di scordarmene e ho visto la sua firma in un articolo su Pagina 99 (un quotidiano intelligente che, infatti, è durato poco e ora esce al sabato in versione settimanale, se riuscite a trovarlo dateci un’occhiata), una delle poche cose sul caso Stamina che non fossero un misto di dilettantismo e malafede. Così sono tornato a leggerla sul suo sito e ho comprato in ebook Cosa intendi per domenica?
Silvia Bencivelli è nata nel ‘77 ed è una giornalista scientifica, nel senso che prima s’è laureata in medicina e poi, non contenta, s’è fatta un master in comunicazione (della scienza); ha condotto Radio3 Scienza, pubblicato articoli per La Repubblica, La Stampa e numerose altre testate cartacee e online, da sempre lavora come freelance.
Pensa veloce, parla bene e scrive ancor meglio perché conosce l’importanza delle parole, sa che non basta far passare le nozioni corrette, che moltissimo dipende da come vengono espresse. Soprattutto però, facciamola breve, le ho sentito esprimere un punto di vista originale e non vittimistico su uno dei problemi più rilevanti del nostro paese oggi: il lavoro. Provo a spiegarvelo al volo.
A meno che non abbiate fatto la scelta, legittima, di stanziarvi e metter su famiglia da qualche parte, quel che gli altri chiamano precariato per voi è un’opportunità pazzesca: finito un contratto, la pagina è bianca e potete ricominciare da dove vi pare, basta organizzarsi e a quarant’anni vi ritrovate con un bagaglio d’esperienza, professionale e culturale, da spavento. Certo, a volte i conti non tornano, tra la fine di un progetto e l’inizio del prossimo passa del tempo e si rischia di trovarsi scoperti economicamente, magari i datori di lavoro bisogna pure rincorrerli per farsi pagare, e insomma non è sempre facile, ma chi ha detto che lo sarebbe stato?
In fondo è tutto in mano vostra, potete scegliere ciò che preferite. Solo una cosa, dice Silvia: non lavorate gratis. Intanto, ogni volta che lo fate, quel che avete fatto perde di valore, ma questi sarebbero anche affari vostri, magari potete permettervelo perché c’è qualcun altro a mantenervi. Sennonché state togliendo quel lavoro a un’altra persona che, giustamente, si rifiuta di farlo gratis. E quindi non siete dei filantropi, non vi state sbattendo per la gloria e non avete nemmeno diritto di scrivere un post di rimostranze sul vostro profilo Facebook, perché state danneggiando tutti.
Non. Lavorate. Gratis.
Capisco che a dirsi è semplice, ma a metterlo in pratica è molto dura. Capisco che è una posizione controcorrente, ma a me le persone che tentano di risalire il fiume sono sempre piaciute. Capisco che non sarete d’accordo su alcuni passaggi, e non lo sono neanch’io, ma magari davanti a un piatto di spaghetti le obiezioni riescono meglio, proprio per questo mi piacerebbe portarla a cena. Che ne dite, ci verrebbe?
Vito Aguanno
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