Boom ‹bùum› s. ingl. : voce onomatopeica che riproduce il rumore di un’esplosione […]
a. Forte e rapido movimento espansivo o ascensionale. […]
BOOM è la colonna sonora della vita dei nostri nonni e un po’ anche dei nostri genitori.
Boom economico, Boom politico, Boom demografico.
Anni ’60. Italia.
Stereotipi di felicità e agiatezza per tutti ( chi più, chi meno).Siamo nel paese in cui la bellezza è così comune che diventa una moneta di scambio, l’arte così spontanea da essere un mestiere diffuso e l’impegno nel perseguirle un dovere sociale così economizzato da diventare produttore di PIL.
Uno scenario come questo è quello che storicamente ha portato l’artigiano a trasformarsi in designer.
Il design è progetto.
Riprogettare la propria vita era quello di cui psicologicamente aveva bisogno l’uomo di quegli anni, provato dalla crisi, dal dolore e dal disagio della guerra.Sentiva l’obbligo morale di offrire ai suoi figli quello di cui lui era stato privato: comfort.
( Della modalità di conquista di questa condizione di prosperità e sulle sue ripercussioni sociali, economiche ed ambientali si potrebbe scrivere un saggio a parte, quindi questa questione verrà trattata solo in modo marginale come valutazione critica del prodotto industriale di cui mi accingo a parlare. )
Una tale prospettiva sociale, economica e culturale era perciò il fertilizzante perfetto per un settore dell’economia che sintetizzasse industria ( e quindi produzione di massa ) e arte ( intesa come produzione del “ bello” ).
Una delle aziende italiane che più di tutte si è spesa per la produzione industriale di oggetti innovativi sia da un punto di vista progettuale, che materico, strutturale e tecnologico è la Kartell dell’ingegnere chimico Giulio Castelli, fondata a Milano nel 1949.
L’allievo del premio Nobel Giulio Natta scrive quale sia il suo proposito e quello della sua azienda:
“produrre oggetti che avessero caratteristiche innovative, intese come applicazione di nuove tecnologie produttive, rivolte all’economia del materiale e all’efficienza del processo”.
La produzione parte con accessori per l’auto ( come il primo portasci ) e casalinghi; prosegue con articoli per l’illuminazione dell’ambiente domestico e oggetti tecnici da laboratorio scientifico. Il tratto caratterizzante dell’azienda è il materiale usato per i suoi prodotti. Tutti gli oggetti Kartell sono in plastica.La lavorazione della plastica, in tutte le sue declinazioni, era all’epoca costantemente in fase sperimentale. Non esistevano processi di lavorazione accertati, sicuri e certificati, quindi la ricerca scientifica si basava esclusivamente sull’esperienza diretta. Esperienza che nel tempo venne premiata per nove volte con il Compasso d’oro.
Compasso d’oro nel 1964 è la “ Sedia per bambini K1340” poi “ Seggiolina 4999” progettata da Marco Zanuso e Richard Sapper.
Si tratta della prima sedia al mondo creata completamente in plastica. La tecnologia usata è lo stampo a iniezione. Impilabile, combinabile, smontabile e facilmente pulibile. Il brief iniziale era la progettazione di una sedia per bambini il lamiera d’acciaio; considerazioni sulle reazioni del materiale alla scalfitura e all’interazione con il target destinatario fecero convenire i progettisti sul fatto che la lamiera non fosse il materiale più adatto da utilizzare per la realizzazione di una sedia destinata a dei bambini. Si pensò perciò al poliestere rinforzato. Il suo modulo di elasticità, inferiore di 15 volte rispetto a quello dell’acciaio, imponeva un aumento dello spessore delle sezioni, affinchè la sedia risultasse strutturalmente stabile. Cosa significava questo? Nuovo materiale, nuova tecnologia, nuovi esperimenti; non ci si poteva più rifare ai processi di stampaggio dell’acciaio ma si imponeva l’elaborazione di un sistema produttivo ex novo sulla base delle caratteristiche fisiche e tecniche del materiale. Questo rendeva necessario un finanziamento non indifferente. Il caso volle che proprio in quegli anni, con lo scadere dei brevetti internazionali, il polietilene venisse deprezzato, questo evento permise alla Kartell di valutare la reale possibilità di investire tempo e denaro sulla sperimentazione di quelle nuove tecnologie che avrebbero permesso alla plastica di entrare a far parte della vita domestica dell’uomo moderno.
Si procedette alla realizzazione .
Vennero aumentati gli spessori delle sezioni portanti in corrispondenza delle zone sottoposte a maggiore stress strutturale, si elaborarono delle gambe a forma cilindrica che potessero essere stampate separatamente e in seguito assemblate al corpo della seduta, rendendo la sedia smontabile ( e favorendo le operazioni di packaging e del suo trasporto ). Questa quindi sarebbe stata composta di due elementi: un sedile in continuità formale con lo schienale e 4 gambe cilindriche. Il successivo problema che si presentò fu legato alle modalità di assemblaggio di queste ultime con l’altro componente. La forma cilindrica avrebbe avuto una necessità di alloggio con invasività spaziale non indifferente e questo avrebbe compromesso la possibilità di impilare le sedie. Allora si risolse il problema tecnico con un espediente concettuale. Se la sedia non poteva essere impilabile, non lo sarebbe stata! Il fatto che l’utente fosse il bambino, permise ai designers di modificare il concept trasformandolo da una “sedia per bambini”, in una “sedia giocattolo per bambini” Si progettò una soluzione strutturale che avrebbe agito sulla superficie del sedile; questa si sarebbe allungata posteriormente, oltre lo schienale, così si sarebbe reso possibile l’alloggiamento delle gambe e in più avrebbe permesso alle sedie di essere componibili, in sostanza si sarebbero potuti usare gli aggetti posteriori come base d’appoggio per le gambe delle altre seggioline. Castelli di sedie- sedie come gioco di costruzione.
Il tempo impiegato per portare a termine il progetto fu di 4 anni , dal 1960 al 1964.Tempo che venne comunque ripagato dai premi e i riconoscimenti ricevuti in seguito:
– Premio Compasso d’Oro 1964
– Medaglia d’oro alla Triennale di Milano1964
-Prize Grand Prix all’ International Plastics Exhibition di Londra 1965
“ Seggiolina 4999 ” è inclusa nella collezione permanente sul design del Museum of Modern Art di New York (MOMA).
“Avevamo fatto una sedia per bambini con la quale potessero giocare ma non ferirsi; abbastanza leggera per essere portata da bambini, ma non lanciata, indistruttibile, lavabile, non rumorosa e a buon mercato”
Marco Zanuso
Si’, perché la seggiolina per bambini aveva un prezzo al pubblico pari a 8.000 lire per pezzo!! se consideriamo la tecnologia e il materiale innovativi al 100% e la qualità concettuale e tecnica del progetto, si può senza dubbio affermare che si tratti di un prodotto estremamente accessibile e che rispetta le finalità del buon design: progettare bene, progettare per tutti.
C’è un “ Boom “ di cui non ho parlato nell’introduzione ed è il Boom dei cosiddetti oggetti “di design” ( definizione da evitare assolutamente). L’idea che si ha di un oggetto “di design” è erroneamente legata al concetto di oggetto di qualità e d’ arte. Per quanto un oggetto progettato da un designer sia tendenzialmente di qualità, bello e affidabile questo non impone che la parola design debba essere usata in modo aggettivante. Tutto quello che viene progettato è l’espressione del fare design, il design è progetto, tutto il resto è stile.Sapper e Zanuso progettando ” La seggiolina per bambini” hanno fatto design, non perché l’abbiano resa esteticamente attraente, quanto perché , su delle basi tecniche e formali, sono riusciti a renderla funzionale da un punto di vista pratico e a dargli un senso semiotico e concettuale perfettamente comprensibile dalla società con la quale avrebbe dovuto interagire.
Nel tempo purtroppo, la produzione di oggetti industriali è stata forzata sulla base di un sistema di bisogni fugaci ed effimeri. Il mercato e la nebbia di un benessere economico apparente ci ha convinti di avere delle necessità che in realtà hanno più l’essenza di un capriccio. Si è persa la tendenza a progettare in modo funzionale prediligendo, la bellezza fine a se stessa e lo stile. Questo senza dubbio è il motivo per il quale non si riesce ad abbattere la convinzione che il design sia un ramo dell’arte. Il design è un ibrido. Il sogno dell’arte sposata alla tecnologia. L’arte come mezzo per saziare la necessità della bellezza e la tecnologia come semplice aiuto di supporto alle capacità dell’uomo nelle sue pratiche di tutti i giorni. Il suo passato e il suo futuro sono imprescindibili da entrambe.
“ Io non dico che dobbiamo tendere ad abolire tutte le macchine, io vorrei fare a macchina alcune cose che ora son fatte a mano, e fare a mano altre cose, che ora son fatte a macchina; in breve, dovremmo essere i padroni delle nostre macchine, non gli schiavi, come siamo adesso. Non è di questa o di quella macchina tangibile, d’acciaio o d’ottone, di cui dobbiamo liberarci, ma della grande intangibile macchina della tirannia commerciale, che opprime la vita di tutti noi.”
William Morris
On Art and Socialism
conferenza alla National Associacion for the Advancement of Art
Liverpool 1888
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