I pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva sono 1.843, il 25,8% della capienza nazionale. Sabato i pazienti Covid in rianimazione sono cresciuti del 5,5%
La forza di una catena è data dal suo anello debole. Lo ripete spesso Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità. E in questa catena chiamata Covid, l’anello debole sono proprio loro, le terapie intensive. Con il rischio che i posti disponibili finiscano, lasciando fuori non solo altri malati Covid ma anche chi è vittima di altre sciagure diverse, un infarto o un incidente stradale. Uno scenario drammatico, anche se per ora solo potenziale. E soprattutto il vero motivo per cui il governo, non solo quello italiano, ha scelto e potrebbe scegliere di nuovo la strada del lockdown, con tutte le conseguenze economiche che comporta. E che purtroppo sono tutt’altro che potenziali, ma già in mezzo a noi.
I numeri (la foto)
A prima vista i numeri non sembrano così drammatici. I pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva sono 1.843. Considerando i 7.123 posti disponibili siamo al 25,8% della capienza. Prendendo come riferimento gli 8.939 posti che possono essere attivati in caso di necessità, con i ventilatori polmonari, scendiamo al 20,6%. Considerando poi i 10.300 ai quali si potrebbe arrivare con un’ulteriore tranche di ventilatori, il tasso di occupazione scende sotto il 18%. Tutto bene? Insomma.
I limiti
Un po’ perché in quei dati ci sono solo i pazienti Covid, non gli altri. Era stato stabilito che ai pazienti Covid andasse riservato solo il 30% dei letti in terapia intensiva, proprio per lasciare posto anche alle altre malattie che non vanno certo in lockdown. Ma questo limite è già saltato in diversi ospedali. Non solo. Perché una cosa sono i letti disponibili, un’altra il personale necessario per farli funzionare. Secondo un sindacato degli anestesisti, Aaroi-Emac, con gli organici di adesso possono funzionare solo i 7 mila posti disponibili oggi. Ma il vero problema è un altro: una cosa è la fotografia, un’altra il film.
La tendenza (il film)
Per prevedere l’evoluzione di un fenomeno, più che il dato misurato in un preciso momento conta la sue evoluzione nel tempo. E la tendenza dei ricoveri in terapia intensiva, questa sì, è preoccupante. Ieri i pazienti Covid entrati in rianimazione sono cresciuti del 5,5%. Non poco. Anche perché la progressione non è lineare ma geometrica, cioè con un aumento sempre più corposo, giorno dopo giorno. «Non siamo ancora al punto critico ma la pressione c’è», sintetizza Massimo Antonelli, direttore del Dipartimento di emergenza e rianimazione del Gemelli di Roma, componente del comitato tecnico scientifico. Ma quando potrebbe arrivare il punto critico? «Se la tendenza rimane questa potremmo esserci già a metà novembre».
Il contesto
Ci sono altri elementi che purtroppo rendono il film più realistico della foto. Chi entra oggi in terapia intensiva è stato contagiato almeno due settimane fa. E due settimane fa i contagi giornalieri, che allora ci parevano tantissimi, erano solo 8 mila. Un quarto rispetto a ieri. Non solo. Perché qualsiasi nuova stretta decida il governo, gli effetti si vedranno dopo 15 giorni. Con la prima ondata, i ricoveri Covid in terapia intensiva erano scesi sotto quota 2 mila, quindi a un livello simile a quello di ieri, solo il 27 aprile. Un mese e mezzo dopo l’inizio del lockdown. È vero che rispetto ad allora i nostri medici hanno imparato sul campo tante cose. Ma è anche vero che allora andavamo verso l’estate, stavolta dritti verso l’inverno.
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