Approvate quattro direttive europee per recupero dei materiali, gestione degli scarti, inquinamento e spreco alimentare. Gli obiettivi: risparmi per le aziende di 600 miliardi all’anno, 140mila nuovi posti di lavoro e un taglio di 617 milioni di tonnellate di C02 entro il 2035
STRASBURGO – L’Europa entra nell’era dell’economia circolare. Dopo tre anni di dure trattive, il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo ha dato il via libera con un’ampia maggioranza al pacchetto, quattro direttive, pensato per combinare ambientalismo e crescita economica. Le potenzialità secondo la Commissione europea, autrice della proposta poi negoziata tra Parlamento e governi, sono di portare risparmi per le aziende di 600 miliardi all’anno, 140mila nuovi posti di lavoro e un taglio di 617 milioni di tonnellate di C02 entro il 2035. Con effetti sul Pil tra l’1 e il 7% all’anno. Dunque si cerca di coniugare un approccio verde con una serie di risparmi per le aziende, che riciclando tagliano i costi sulle materie prime guadagnando in competitività e ammodernando i loro cicli produttivi.
“Dopo più di tre anni di lavoro – commenta Simona Bonafé (Pd), relatrice del testo per l’Europarlamento – riduciamo la pressione sul pianeta per l’utilizzo delle materie prime e passiamo da un modello economico lineare a uno in cui la crescita diventa sostenibile”. Risultato non scontato, visto che il negoziato per arrivare a un testo condiviso è stato difficile, con diverse capitali che, spaventate dai nuovi target vincolanti in arrivo dall’Europa, hanno provato ad affondare il pacchetto.
Nel concreto, il salto nell’economia circolare avviene con quattro direttive europee rispettivamente su riciclo dei rifiuti, imballaggi, rifiuti da batterie, componenti elettriche ed elettroniche e infine discariche. L’idea è che recuperando le materie prime dai rifiuti, le aziende inquineranno meno e soprattutto taglieranno i costi nel processo produttivo. Non è l’utopia dei rifiuti zero, è qualcosa di più concreto.
·PREVENZIONE, RIPARAZIONE E RICICLO
Le quattro direttive introducono diverse novità, a partire dal rafforzamento della gerarchia di rifiuti grazie alla quale i governi dovranno ulteriormente rovesciare le loro politiche: la priorità dovrà essere prevenire la creazione dei rifiuti, in secondo luogo privilegiarne riparazione e riciclo, segue il recupero energetico attraverso i termovalorizzatori. All’ultimo posto la discarica. Per questa ragione diventerà obbligatorio in tutta Europa, come già in Italia, per i produttori di imballaggi dare vita a consorzi che si occuperanno di riciclarli (con metodi che puntano alla massima efficienza facendo risparmiare milioni di euro). Centrale anche l’introduzione di un target allo spreco alimentare: tutti i governi europei dovranno tagliarlo del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030. Allo stesso modo dovrà essere eliminata la generazione di rifiuti marini.
·DIFFERENZIARE E’ UN OBBLIGO
L’Europa cancella poi le deroghe in bianco alla raccolta separata dei rifiuti, dalla plastica al metallo passando per vetro e carta: tutti i paesi Ue dovranno farla ed eventuali sconti potranno essere autorizzati solo da Bruxelles a fronte di esigenze motivate e credibili. Conseguenza sono i nuovi target sui rifiuti riciclati: dovranno essere il 55% nel 2025, il 60% nel 2030 e il 65% nel 2035. Percentuali che saranno calcolate con nuovi metodi negli scorsi mesi al centro di duri negoziati in quanto potrebbero portare a sorprese: la Germania, ad esempio, che dell’essere leader nell’ambientalismo fa un vanto, con i nuovi criteri potrebbe vedere i suoi numeri calare drasticamente.
·I NUOVI TARGET
Ci sarà anche l’obbligo di raccolta separata dei rifiuti organici, come cibo e piante, e soprattutto nuovi obiettivi per riciclare i rifiuti da imballaggi: 65% entro il 2025 e 70% entro il 2030 con alcuni sotto
target, come quello di plastica (50 e 55%), vetro (70 e 75) o carta (75 e 85). Fondamentale infine il nuovo tetto del 10% massimo entro il 2035 ai rifiuti che potranno essere gettati in discarica (oggi l’Italia viaggia intorno al 28% ma ci sono paesi messi peggio, come la Romania con il 70%).
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